Vanity Fair, 24 aprile 2019
Intervista a Gabriele Lavia, che odia Iban e Iva
Questa volta ho vinto io: sono arrivata prima. Di una manciata di minuti, perché Gabriele Lavia non si presenterà mai in ritardo a un appuntamento. E di certo mai farebbe pagare il caffè a una donna. Perciò, prima di arrampicarsi per le scale del bar con una gamba malmessa causa caduta in palcoscenico, pretende di farsi carico di vassoio e ordinazione. Uomo d’altro tempo, a 76 anni, il regista e attore ha appena portato in scena (al Piccolo Teatro di Milano) I giganti della montagna, l’ultimo testo scritto da Luigi Pirandello, incompiuto sul letto di morte, che si chiude sulle parole: «Io ho paura.
Ho paura». «E quel pronome, “io”, fa capire che l’autore dissimula la sua paura nel personaggio femminile che parla. Perché Pirandello sapeva che quella era la fine».
Lei vorrebbe sapere?
«Cambierebbe poco».
Che cosa le fa paura?
«Non la morte, ma il dolore, la malattia. Il degrado fisico, tragicamente ingiusto».
Ma aver vissuto a lungo qualcosa insegna?
«L’esperienza è solo aver fatto molti errori. D’altra parte, l’uomo non può che errare, andiamo di qua e di là, prendiamo strade buie. A volte portano da qualche parte, quasi sempre tornano su se stesse o ti conducono dentro un abisso».
Che cos’è l’abisso?
«Non lo so, non ci sono mai caduto. Sono i geni che ci cadono. Pirandello, per esempio».
Forse però si vive meglio senza l’abisso.
«Si sta più comodi, ma non è detto che questo significhi vivere meglio».
Lei come sta, comodo?
«Io mi sono sempre sentito un po’ a disagio nella vita, sono timido, non so fare niente. Se non ci fosse mia moglie (l’attrice Federica Di Martino, ndr) sarei perduto».
In che cosa?
«Nella vita normale, non capisco nulla. Tutti questi documenti: il mondo si è appiattito in una burocrazia aggrovigliata, il codice fiscale, la partita Iva… l’Iban! Così lungo, che assurdità».
Un assegno lo sa versare?
«Sì, ho imparato a fare i bonifici perché ho tanti figli. E poi in banca ho amici che fanno tutto per me. Perché io ho altre cose cui pensare: come risolvere una scena, che cosa fare l’anno prossimo».
Che cosa farà?
«Riprenderò I giganti, farò qualche opera lirica qua e là, ma non ho il potere di decidere tutto io».
Però una cosa la decide: niente pensione.
«Non posso, non ci pagherei nemmeno l’affitto di casa».
Forse non è solo una ragione economica. Il teatro lo ama sempre?
«Sì. Amiamo ciò che ci fa del male, come i drogati la droga. Il teatro è un amore senza speranza, ti sfugge. E poi si è trasformato in una burocrazia che il teatro se l’è mangiato, con molti più impiegati che attori».
Che cosa ha imparato da questo mestiere?
«Non si può imparare nulla, l’attore è l’arte più complessa. Il calcolo, per quanto complesso, si può apprendere: è preciso. L’uomo no, è inafferrabile. E questo è il teatro».
Ma è la cosa migliore che potesse fare?
«No, se avessi dipinto, come facevo un tempo, sarei diventato certo un buon pittore. Il mio preferito è Francis Bacon».
La pittura però è arte individuale, contrariamente al teatro.
«Ma anch’io mi isolo, a casa mia, vado nel mio studio e sto da solo».
Prima di Federica lei ha avuto una lunga storia con Monica Guerritore: avrebbe mai amato una donna lontana dallo spettacolo?
«Tutta la mia vita è accaduta in teatro, non conosco altre persone, quello è il mio pollaio, vivo lì».
Rispetto all’età: come cambiano le emozioni?
«Non credo abbiano a che vedere con l’età. Ma invecchiare è amaro e anche un po’ abietto: i sentimenti e le emozioni non cambiano, ma lo fa il corpo. Il corpo è la vera tragedia dell’essere umano. Personalmente lo avrei fatto meglio…».
Meglio come?
«Tutto gas, aereo, che di colpo… zum… scompare».
Scienza e tecnologia stanno lavorando a trasformare l’uomo.
«Per il momento siamo a livello carnevalesco: ci si rifà zigomi, occhi, patetico. Però qualcosa troveranno, certo non potranno mai vincere la morte: noi nasciamo unicamente per morire. L’uomo è stato molto bravo per trovare un senso: ha inventato l’amore, l’odio, il dolore. Il dolore è il nostro sentimento più alto, più importante della gioia».
L’idea della morte le provoca dolore?
«No, mi irrita. Perché è legata alla vecchiaia. Mi dà dolore non poter più fare Amleto, Macbeth, nessun personaggio del Gabbiano».
Con l’età, ripensa di più alle radici, alla Sicilia da cui venivano i suoi genitori?
«Certo. Io amo molto la Sicilia… da lontano. Quando arrivo in aereo a Catania, la città della mia infanzia, vengo preso da nostalgie, mi commuovo quasi alle lacrime. Dopo un po’ comincio a nutrire sentimenti di odio».
La prima volta che l’ho incontrata si definiva vecchio, la seconda decrepito. Oggi?
«Morto».
Non mettiamoci avanti. Guardando indietro, qual è stato il momento migliore?
«Gli anni fra i 40 e i 50, il momento più vivo. Adesso è più difficile, credo mi rimangano ancora 3-4 spettacoli, se ho fortuna. Preparo un Otello per il Comunale di Bologna. E mi piacerebbe fare Tre sorelle di Cechov, ma non credo ci riuscirò».
Un incompiuto.
«È la cosa più brutta per un attore. L’attore deve scandagliare il profondo della sua anima».
Lei la notte come dorme?
«Ho sempre dormito molto poco. Mia moglie invece si mette a letto e al tre dorme, beata lei».
La tengono sveglio brutti pensieri?
«Ma no, in fondo sono un ottimista».
Anche politicamente?
«Voglio dare un dolore a Salvini: il nostro Paese sarà salvato dalla migranza, perché l’uomo è migrante per natura, lo fa ognuno di noi. Ci siamo adattati e siamo diventati contro natura quando ci siamo fermati e chiusi nelle nostre scatolette, abbiamo comprato casa. La migranza invece ci salverà e migliorerà la nostra razza dalle gambe corte e il culo basso: avremo gambe lunghe, capelli biondi e riccioluti».
Ammesso che prima i migranti non li cacciamo.
«Non è possibile, l’uomo è questo. Io sono sempre per l’accoglienza, anche se è solo il più ricco che può accogliere il più povero: se respingiamo siamo poveri di mente, di anima, di sensibilità, intelligenza, cultura».
Insomma, non bisogna dimenticare il proprio passato.
«Ricordare è tutto… Non mi ricordo quale personaggio lo dica, forse Re Lear. L’uomo è fatto di memoria, noi siamo il nostro passato. L’unica possibilità di fare un passo verso il futuro è rammentare il passato».
Il passato sono le persone che abbiamo incontrato, con cui siamo cresciuti.
«Certo, il mio destino mi ha portato a incontrare persone che mi hanno formato, come Giorgio Strehler, Orazio Costa, Aldo Trionfo…».
E le donne?
«Io non sono in grado di muovere un passo senza mia moglie. Ma per ciò che riguarda il mio lavoro, quello avviene nel segreto della mia cameretta. Gli spettacoli quando li preparo li disegno tutti».
Quindi il momento migliore è prima della prima.
«Sì, quella è la felicità. Quando poi si comincia a lavorare in palcoscenico è il momento del dolore, non sei come ti vorresti, non hai i giorni di prova che servono…».
Quando prova, sgrida sua moglie, come faceva nelle famose litigate con Monica Guerritore?
«Abbastanza, adesso però di meno perché sono invecchiato. Una volta mi arrabbiavo molto di più».
Meglio così.
«No, soffro dentro di me. Lo dico al mio assistente: perché abbiamo capito tutti meno l’interessato? Il fatto è che il palcoscenico è un mondo completamente diverso: sei in apnea, è un’altra dimensione psicofisica».
Un’altra cosa per cui è noto sono i tradimenti.
«Nooo, non ho più tempo».