La Lettura, 28 aprile 2019
Amelia Rosselli, la lingua è sempre straniera
Come esperienza insegna, all’origine di ogni poesia che si rispetti si è sempre in due: il poeta e la lingua. E proprio come accade nell’amore è molto difficile distinguere a chi spetti la parte attiva o quella passiva, la funzione di soggetto agente o di oggetto agito. La poesia si distingue infatti per la totale reversibilità dei ruoli: veglia e sogno, controllo e abbandono, necessità e libertà, e via dicendo. La tradizione del pensiero poetico è pressoché concorde su questo punto.
Rileggendo il volume che raccoglie Le poesie di Amelia Rosselli, curato da Emmanuela Tandello e riproposto da Garzanti nei Grandi libri (la prima edizione è del 1997), viene allora da pensare come Giovanni Giudici, a cui si deve la prefazione, sia entrato in sintonia con le corde profonde di questa poesia non senza motivo. Da sempre attentissimo all’ambito concettuale di cui si è detto, Giudici aveva trovato nell’opera della Rosselli un ambito di realizzazione esemplare. «Riconquistare la propria (o, comunque, una propria) lingua come una lingua straniera, liberata dall’usura dell’abitudine e pertanto investita di una più intensa potenzialità comunicativa, è privilegio e anche arduo compito del poeta», ha sottolineato nell’occasione. Il poeta parla per dare voce alla lingua, la lingua parla per dare voce al poeta: ma quello che Giudici riteneva valido per tutti i poeti, nel caso della Rosselli gli sembrava valere una volta di più.
La sola indicazione di lettura che può forse essere data è questa: considerare la compresenza e l’indiscernibilità di funzione attiva e passiva nel discorso poetico rosselliano. Tanto più a fronte delle riprese devianti che di questa poesia hanno dato tanti poeti delle generazioni più giovani, fino alla creazione di un gergo poetico basato su parole d’ordine quali istintività, corporeità, visceralità, autenticità e poche altre, è necessario rimarcare l’altra faccia della medaglia, cioè la componente intenzionale, costruttiva e letteraria, che non solo è fortissima, ma discriminante. La Rosselli stessa, del resto, non aveva autorizzato alcuna riduzione di genere non solo della propria poesia, ma della poesia come tale.
È solo attraverso un processo di formalizzazione mediato e consapevole che il destino singolare, e tragico, di questa profuga dall’Italia fascista (nasce nel 1930 a Parigi, dove nel 1937 con la complicità del regime vengono assassinati il padre Carlo e lo zio Nello, e si uccide nel 1996), diventa significante di una condizione assoluta di non appartenenza alla vita. «Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione / fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti / e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese barbaro. / Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati. Speranzosa / nell’Ovest ove niente per ora cresce», recita un passaggio di Variazioni belliche, il primo libro del 1964. In fondo, questa situazione di estraneità pur così sua, pur così radicata e inestirpabile, fin da subito o quasi viene riconosciuta dalla Rosselli come l’opportunità di un dialogo con la vita e con il sogno di un diverso, altro io (o con i loro fantasmi) che niente vuole avere di personalistico e di esclusivo.
Ancora una volta la via per esplorare il proprio petto, come voleva Leopardi, da Amelia amatissimo, è stata quella della letteratura. Gli studi che Emmanuela Tandello ha dedicato alla sua poesia eccellono proprio da questo punto di vista. Il dialogo con gli autori del passato (Montale, Campana, Rimbaud, i poeti elisabettiani, primi fra tutti), la riflessione sullo statuto dell’io lirico e del tu che fa da interlocutore, il rapporto di dare e avere con la lingua e con lo stesso trilinguismo di partenza (francese, inglese, italiano), la tendenza alla chiusura formale di contro allo slittamento e all’ambiguità semantica, le principali e più eclatanti peculiarità stilistiche (prima fra tutte il tanto celebrato lapsus, che in realtà un vero lapsus non è), rispondono tutte a un oculatissimo e calcolatissimo, e in tal senso anche ambizioso, progetto espressivo. Ha voluto essere a tutti gli effetti un poeta, e tale è stata. «Io decidevo di esprimermi con maestà e furore anche se le parole assumevano a volte un contegno più che irrispettoso», ha detto. Proprio così. Il poeta e la lingua: il governo della poesia appartiene a entrambi, come a nessuno dei due.