la Repubblica, 28 aprile 2019
Contro Tremonti
Forse, e dico forse, Fabrizio Corona non dovrebbe scrivere un libro di educazione civica. Anche se probabilmente è convinto di averlo fatto. Forse, e dico forse, Lapo Elkann non dovrebbe scrivere un libro sulla sobrietà nel vestire. A meno che la prefazione non sia a cura di Enzo Miccio. Forse, e dico forse, Annamaria Franzoni non dovrebbe scrivere un libro sulla puericultura. Forse, e dico forse, Luigi Di Maio non dovrebbe scrivere un libro sulla lingua italiana. E nemmeno in italiano. Forse, e dico forse, i Pooh non dovrebbero scrivere un libro sull’heavy metal. Forse, e dico forse, Andrea Camilleri non dovrebbe scrivere un libro ambientato in Tirolo.
Forse, e dico forse, Maurizio Belpietro non dovrebbe scrivere un libro sugli attentatori. Forse, e dico forse, Elena Ferrante non dovrebbe scrivere un libro contro gli scrittori che agiscono sotto pseudonimo. Forse, e dico forse, Giuseppe Conte non dovrebbe scrivere un libro sul carisma. Forse, e dico forse, Massimo Cacciari non dovrebbe scrivere un libro sul controllo dei nervi durante i talk show televisivi. Eppure, Giulio Tremonti ha scritto un altro libro di economia. Probabilmente perché convinto di essere nel terzo stadio della celebre parabola di Arbasino che divideva gli italiani in brillanti promesse, soliti stronzi, e venerati maestri. Anche se, perfido com’è, il professore valtellinese preferirebbe con ogni probabilità essere uno stronzo venerato.
Chiedo scusa per il termine “venerato”.
Con tutto l’affetto che si deve alla figura dell’ex ministro, eternata da Corrado Guzzanti mentre si giocava il futuro del Paese alle slot, il pur coltissimo tomo appartiene a un sottogenere della letteratura inopportuna. Quello dell’“ancora parla”. Ma siccome nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si ipoteca, vado a spiegare perché e percome la triplice profezia di Tremonti sia comunque preferibile a un colpo della strega o addirittura a una domenica di ponte all’Ikea. Seppure di poco. Intanto è breve. In secondo luogo è eco-compatibile, perché ricicla con fior di autocitazioni le opere dei Tremonti precedenti. Cui però non attribuisce colpa di alcunché, non essendo governi. Infine perché, incrociando la biografia dell’autore, la sua collocazione politica, i suoi atti pubblici, e il tono millenarista di uno che sembra aver vissuto da sempre sul Monte Athos e invece è stato pluriministro dei peggiori esecutivi della nostra storia, ha firmato condoni pur avendoli ufficialmente sempre avversati, ha accompagnato Silvio Berlusconi e tutti noi verso la road to nowhere nella quale siamo poi stati investiti da Mario Monti, scatena una condizione interiore a metà tra il semplice buonumore e il divertimento estremo. Sunteggio: Tremonti è no global. Voleva i dazi. Obama ha fatto troppe regole. I poteri forti hanno costruito un uomo nuovo e sudditi. Brexit e Trump hanno fatto crollare il mondo globalista. Marx l’hanno fregato i cinesi.
Globalizzare senza regole avrebbe creato un ordine naturale: non servivano regole. Il comunismo è brutto brutto ma dopo il crollo del muro di Berlino “loro” hanno complottato per spartirsi il mondo per aree economiche. Siamo dentro una terza guerra mondiale. La finanza mondiale è come Mefistofele. La rete è come il Faust e si è espansa durante la globalizzazione. Il web ci scheda tutti ed è cattivissimo, signora mia, il tutto in un profluvio di punti esclamativi da social network. Siamo tra il Medioevo e Weimar e non so cosa mettermi.
È fortemente possibile che le preclare doti di economista di Tremonti sfuggano al vostro modesto scriba e che il saggio per capitoli non sia affatto, come parrebbe a un primo e risibile esame, un carteggio solipsista di chi ha avuto responsabilità apicali in quel che commenta e lo racconta come se fosse stato su Marte. Ma intanto leggendolo ho scoperto che Goethe era stato ministro a Weimar, quindi che, per la proprietà transitiva, in questo governo ci sarà qualcuno che scriverà ponderosi romanzi e viaggerà per l’Italia, non credo Toninelli. E anche che comunque persino chi teneva i cordoni della borsa dei governi Mediaset rispetto a quelli di adesso tipo Borghi, Bagnai, Rinaldi, era un incrocio tra Keynes, Stiglitz e José Bové. Consiglio per il titolo del prossimo libro: Si stava meglio quando si stava peggio.
Forse, e dico forse.