La Stampa, 28 aprile 2019
Intervista a Ralph Rugoff, direttore della Biennale
Nato in America e residente a Londra, Ralph Rugoff dirige la Hayward Gallery di Londra, nel 2015 ha curato la Biennale di Lione e ora è direttore artistico della 58a Biennale di Venezia, che si apre l’11 maggio e si chiude il 24 novembre. È il primo chiamato dal Regno Unito a ricoprire questo ruolo.
Come ha saputo dell’incarico?
«Paolo Baratta, presidente della Biennale, mi ha invitato a pranzo a Roma e, al momento del dolce, mi ha chiesto se fossi disponibile, con la condizione che il cda approvasse. È stata una bella e inaspettata sorpresa».
Il titolo di questa Biennale èChe tu possa vivere tempi interessanti: ospita 79 artisti, 90 padiglioni nazionali e 21 eventi collaterali. Come sarà strutturata?
«I padiglioni nazionali sono autonomi con dei propri curatori. Io seleziono gli eventi per le manifestazioni collaterali, ma il mio compito principale è organizzare le opere dei 79 artisti all’Arsenale».
Perché proprio 79?
«Nelle ultime edizioni ce ne sono stati 125 o 135, ma penso che sarebbe molto difficile per i visitatori seguire tutto».
Perché ha deciso di intitolarla così?
«Le cose sono molto cambiate negli ultimi cinque, dieci anni, a volte in un modo preoccupante. Ma non volevo fare del pessimismo. Vivere in tempi interessanti può anche avere un’interpretazione positiva, anche se per la prima volta questa maledizione (il titolo riprende un antico proverbio - e maledizione - cinese, ndr) apparve su un giornale nel 1936, quando un membro del Parlamento la usò per mettere in guardia contro il nazismo e il crescente potere di Hitler».
E le opere scelte affrontano questo tema?
«Questa Biennale risponde al momento storico che stiamo vivendo, e il suo compito è offrire chiavi di lettura e di riflessione sul presente e sulle nuove idee che stanno cambiando il futuro. Umberto Eco in Opera aperta fornisce una perfetta descrizione della cultura artistica degli ultimi 60 anni e del suo valore per la società».
Oggi non ci sono più movimenti artistici ben definiti come arte povera, astrattismo, surrealismo.
«Abbiamo la realtà virtuale e la realtà aumentata, ma in primo piano non c’è il mezzo bensì il pensiero dell’artista. In questa Biennale ci sono molti pittori come George Condo, Julie Mehretu, Nicole Eisenman, ma anche video o qualsiasi altra forma espressiva».
Quali sono le scene artistiche più interessanti oggi?
«New York e Berlino sono molto importanti; in Cina, Pechino e Shanghai; Londra, fino a un certo punto, e poi Parigi».
Come ha scelto gli artisti?
«Non avevo un elenco, ne ho valutati 2 mila, viaggiando per 5 continenti, in 25 Paesi. Ho cercato artisti di larghe vedute, capaci di porre domande più che di dare risposte. E ho cercato la complessità, vero punto di forza dell’arte».
L’età ha influito?
«No, hanno dai 29 ai 79 anni. L’esperienza umana ha molte dimensioni, le emozioni spesso si mescolano anche se sono teoricamente opposte. L’ambivalenza è per me la capacità di vedere le cose da diversi punti di vista e di mettere in collegamento cose, idee e storie che normalmente non lo sono».
Ogni artista partecipa con una sola opera?
«No, c’è chi ha 70 fotografie, o 14 dipinti. Ognuno ha due spazi differenti, all’Arsenale e al Padiglione centrale, e in ognuno di questi presenta un lavoro diverso. Sono due esibizioni parallele».
Da dove arrivano gli artisti?
«La maggior parte dagli Stati Uniti anche se non ne sono necessariamente originari. Abbiamo molte presenze dall’Asia: Giappone, Corea, Indonesia, Bhutan, Cina. E anche dall’Africa».
Quale vorrebbe che fosse l’approccio dei visitatori?
«La Biennale induce a pensare e incuriosisce. Spero sia un’esperienza di cui parlare con gli amici, che favorisca il confronto e abbia il potere di suscitare meraviglia».
Oggi c’è molto interesse per l’arte contemporanea?
«Mi auguro di trovare persone con una mentalità aperta e senza pregiudizi. Se non si riesce a capirla, l’arte può suscitare rifiuto e risentimento perché fa sentire stupidi. Io volevo una mostra capace anche di accogliere e interagire».
Qual è il suo pensiero sull arte a livello globale?
«È sempre più apprezzata perché la gente è stanca di media commerciali che offrono produzioni hollywodiane o show televisivi. L’arte offre qualcosa di diverso».
Chi è un buon artista?
«Una persona allo stesso tempo rigorosa e lieve, giocosa, creativa, che si assume dei rischi. Una persona avventurosa, che non teme le contraddizioni».
Dove sta andando l’arte?
«Una volta c’erano movimenti, correnti, ora ci sono troppe pratiche diverse e nuove fonti di ispirazione, dai film a YouTube. E poi l’arte è diventata molto più internazionale. La Cina a metà degli Anni 80 non aveva gran peso sulla scena artistica e ora ne è la principale protagonista».
La Biennale è un’occasione di lancio per gli emergenti?
«Può essere, ma non è detto che si riesca a diventare interessanti per chi acquista le opere. Negli Anni 80 Ed Ruscha partecipò a tre esposizioni di fila senza vendere un solo quadro. Per un bel po’ ci si e dimenticati di George Condo. Gli artisti più venduti di 100 anni fa non sono sempre quelli che ricordiamo oggi».
(Traduzione di Carla Reschia)