Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2019
Medici e fascismo
Il nuovo libro di Giorgio Cosmacini, Medici e medicina durante il fascismo, con una prefazione di Francesco Sardanelli, offre una serie d’informazioni e approfondimenti sul ruolo che ebbe la scienza medica in Italia nel ventennio di Mussolini. Molte le indicazioni per meglio comprendere cosa significassero “lotta alla tubercolosi” o “bonifica della sifilide”, il ruolo dei medici delle mutue e delle ricerche, come cambiarono le cure e la stessa dietetica della popolazione. Certo, la retorica ebbe la sua parte, e l’autore lo nota; inoltre, la medicina del periodo fu anche coinvolta, attraverso alcuni suoi esponenti, nel “Manifesto della razza” e a essa si guardò come alla disciplina che avrebbe aiutato e favorito il “potenziamento della stirpe”. Ai medici fu chiesto, più che ad altre categorie, un aiuto per “fascistizzare” il Belpaese. Operazione che si comprende se si riflette sulle “battaglie” contro la pellagra o l’alcolismo, tanto che in un discorso di Mussolini del 24 maggio 1927 si ricorda che delle 180 mila osterie «ne abbiamo chiuse 25 mila».
Persino la battaglia contro il celibato passava, per taluni aspetti, tra le pareti degli ambulatori medici; d’altra parte, nel discorso ricordato, il capo del governo ribadiva che «le leggi sono come le medicine» e oltre la gabella contro chi non si è ammogliato «in un lontano domani potrebbe far seguito la tassa sui matrimoni infecondi». Insomma, se qualche medico detto oggi di base, incoraggiava i pazienti a sposarsi e a procreare, faceva soltanto il suo dovere.
Cosmacini non dimentica gli aspetti filosofici che la medicina riflette. E per tale motivo analizza con una serie d’indicazioni e storie la mentalità razziale che si diffuse nel fascismo. Né dimentica il coinvolgimento di figure di primo piano, come padre Agostino Gemelli, medico e biologo, allievo di Camillo Golgi (Nobel 1906), fondatore e rettore dell’Università Cattolica. Non è il caso di moltiplicare esempi, ma non va dimenticato che tra le attività di questo scienziato e religioso vi sono anche quelle che Cosmacini ricorda (pagina 101) per la creazione di un laboratorio in cui sperimentava «in diversi settori, tra cui quelli della psicologia del lavoro e della psicotecnica». La questione psicofisiologica dei lavoratori faceva parte della “medicina italica”, uno dei “quattro grandi problemi” su cui poggiava “la politica interna del regime mussoliniano”.
Tra gli argomenti restanti, vale la pena ricordare che un capitolo è stato dedicato a “Il corpo del duce”. La trasformazione da persona comune a simbolo avviene già nei primi anni del governo di Mussolini. Per esempio, nel 1927 Enrico Ferri, già deputato socialista per più legislature e poi fascista, esaltò con toni darwiniani l’ex compagno di lotte, ricordandone la «faccia napoleonica», l’«ampia fronte prominente», la «mandibola quadrata» e persino il «turgore della tiroide». Quest’ultima, «come mi diceva il professor Pende, è un lubrificante psichico». Simili cose e altre si leggono in Mussolini uomo di Stato (pubblicato a Mantova dalle Edizioni Paladino nella collezione Mussoliniana: biblioteca di propaganda fascista). Un’immagine ben diversa da quella che testimonia l’eminente clinico Arnaldo Pozzi che cura il duce dall’11 novembre 1942 al 25 luglio 1943. Nella prima visita a Villa Torlonia trova Mussolini a letto: «Mi colpì il suo aspetto fisico. Non più la faccia piena dall’angolosa mascella sotto la quale scompariva il collo tozzo, non più il largo torace, il tutto espressione della sua costituzione brachitipa, ma una faccia pallida, dalle gote smunte, la pelle avvizzita, il collo scarno».