il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2019
Lunga intervista a Paola Cortellesi
Il direttore del ristorante romano è agitato, Paola Cortellesi è in arrivo, non resiste, lui ci tiene a offrire la sua classifica delle emozioni: “Qui vengono tanti vippe, ma lei è eccezionale, la numero uno. Posso chiederle una foto?”. Boh, veda lei.
Paola Cortellesi si presenta con mezz’ora di ritardo, è disperata, non ci vuole credere e, mentre toglie il soprabito, riesce a scusarsi tre volte (“detesto queste figuracce, sono una precisa”); poi si siede, e non ha neanche il tempo di prendere cognizione del luogo, che arriva il direttore. “Mi scusi, la posso disturbare per un selfie? Però quando vuole”. “Meglio subito”.
Click. Finalmente è a tavola.
Perché subito? “Dopo temo la cicoria tra i denti, evito di sorridere, preferisco scongiurare questi rischi”. È già successo? “Eh, sì”.
Giudizio del direttore o meno, la Cortellesi è una mano santa per il botteghino e le tv a pagamento, i film con lei protagonista segnano sempre risultati rassicuranti, e anche quest’ultimo, Ma cosa ci dice il cervello ha vinto nel weekend di Pasqua, nonostante un titolo non proprio riuscito; non importa, basta la sua presenza e la regia del marito, binomio già testato più e più volte. Come un gatto in tangenziale è oramai un classico della nuova commedia.
Terminato il pericolo “cicoria”, torna sul ritardo, e per la quarta volta: “Mi dispiace veramente”. Succede. “No, non è proprio da me. Sul lavoro sono rigorosa”.
Rigorosa per indole?
No, a scuola non ero proprio una studentessa modello; lo sono diventata con gli anni, ora ci tengo molto, per questo motivo spesso mi chiamano “signorina Rottenmeier”.
Da chi ha imparato?
All’inizio dal teatro, dove ci sono regole ferree; ai tempi del Sistina se incappavi in un “buco di scena” dovevi dargli la paga della giornata, se arrivavi in ritardo scattava la multa.
A lei è toccato?
Mai… Comunque quella degli attori sregolati è solo una leggenda legata a un’altra epoca.
Professionisti.
Quando lavori con Pierfrancesco Favino affronti solo piacevoli certezze, stessa situazione con Antonio Albanese, Alessandro Gassmann, Claudia Pandolfi e Carla Signoris.
L’arrembaggio è figlio di un’altra epoca.
Secondo me sì, e non è solo questione di età, ma di formazione; e poi non siamo più negli anni Cinquanta, l’epoca dei divi è finita.
Lei non è diva?
Sono solo una con una carriera riconosciuta e riconoscibile.
Nazionalpopolare.
Sì, ma la vera diva non è essere celebri, è atteggiarsi a tale (A tavola arriva la cicoria. “Se finisce tra i denti me lo dovete segnalare, altrimenti è da infami, anzi da merde”. Non sia mai. “Tanto giro sempre con lo spazzolino da denti nello zaino”).
Anche con sua figlia è così attenta?
No! In casa sono disordinatissima, lì entro in una differente dimensione; però uno non può andare in giro, dopo aver mangiato, senza pulizia, è da maleducati.
Giusto.
Oggigiorno una deve dasse ‘na regolata.
In questo film è un agente segreto, sembra Tom Cruise in “Mission impossible”.
E cavolo se mi sono preparata; i saltoni (tipo dalla barca al molo) sono gli stessi suoi, poi ho corso tantissimo, in alcune giornate di ripresa non mi toccava altro.
È credibile.
Davvero? Non mi ci sento mai. Comunque ho imparato a saltare, a rotolare a terra e subito in piedi; poi a tirare di boxe, ad arrampicarmi.
Quando si è rivista?
Sono scoppiata a ridere, e mi capita sempre, perché il senso del ridicolo lo salvaguardo in tutti i modi: aiuta nella vita, altrimenti perdi cognizione della realtà (si ferma). Sento la verdura che si insinua.
Non è così. Stia serena.
Poi fa tanto bene alla salute.
Massimiliano Bruno racconta dei vostri primi anni Novanta: “In scena avremmo dovuto darci un bacio, ma eravamo come fratelli e ci sembrava innaturale; così nel bel mezzo della prova, il teatro venne squassato da una bestemmia del regista”.
Se c’è la bestemmia, so di chi è, ma non pronuncio il nome, altrimenti lei lo scrive e domani il protagonista del fattaccio mi chiama per protestare.
Ma il nome lo ha già rivelato Bruno…
Allora è colpa sua! Tanto Massimiliano nun se tiene un cecio in bocca.
Insomma, il bacio?
Con lui siamo veramente molto amici e da tanto tempo, siamo cresciuti insieme, ci siamo confrontati e spalleggiati, e quando è arrivata quella fatidica scena, la sensazione era di incesto: non potevamo; e in assoluto non sono brava in quelle situazioni.
Non le piace.
Non ci prenderò mai confidenza, e al cinema di scene del genere se ne sono viste talmente tante che o viene fuori una situazione meravigliosa, o preferisco farne a meno.
Si imbarazza.
Tantissimo, e non sempre riesco a evitarle.
La Incontrada non le disdegna.
Vabbè, lo dice per giocare, anche io l’ho dichiarato, ma non è vero. Eppure ho baciato tutti i più fighi…
Dichiariamoli.
Raoul Bova, Alessandro Gassmann, Luca Argentero ben due volte e Alessandro Preziosi.
È curriculum.
Eh, e nonostante tutto mi imbarazzo: sono una cojona.
È pronta per la regia?
Credo di sì, lo voglio; il problema è che non mi sento mai abbastanza preparata, e non mi riferisco all’aspetto tecnico, piuttosto nella comprensione degli attori che amo.
Gli attori secondo lei.
Animali strani, grati ai registi quando sanno dirigere.
Lei è sceneggiatrice del film.
Sì, ma quando sono sul set non importa, voglio avere una guida, voglio rispondere a chi ha una visione d’insieme.
Muccino abbraccia i suoi attori; lei da regista lo farebbe?
Solo se è bono (diventa rossa). Oh, sto scherzando.
Serena Dandini sostiene: “Lei e la Raffaele ribaltano lo stereotipo secondo il quale chi è bello non fa ridere”.
Lei ci vuole molto bene.
Detto questo.
Su Virginia ha ragione, oltre a essere straordinariamente brava, è una ragazza bellissima, con un fisico atletico…
E lei?
Negli anni ho potuto essere carina, quando sono stata ben acconciata da chi sa farlo…
C’è il però.
Non sono mai stata bella, neanche da giovane, una di quelle che entra nella stanza e gli uomini si girano: ero una ragazzona un po’ sgraziata, iper sportiva, senza il visetto dolce, gli occhi chiari e i modi affettati; insomma ero fuori da ogni stereotipo adatto a film o pubblicità.
Eppure.
È stata la mia fortuna: come dicevo prima, se mi mettono su bene divento carina, o bruttissima se serve, buffa quando è utile, mentre se uno in assoluto è bello come il sole, è complicato portarlo fuori da certi binari legati all’estetica.
L’attore è un foglio bianco in mano al regista.
La mia prima insegnante di recitazione ci sconsigliava pure i tatuaggi.
Mimetizzata.
Un esempio? Brad Pitt non può mutare molto, ha i tratti perfetti, gli occhi riconoscibili…
Giusto: che ci facciamo con Brad Pitt?
Non lo puoi imbruttire.
Non lo ha ancora baciato.
No, non mi è mai capitato.
Lo buttiamo via?
No! Nun se butta via niente. Però non è il mio tipo.
No?
Meglio Bruce Willis, più macho (per la cronaca: il marito ha qualcosa di Bruce Willis).
Mina nel 2004 l’ha definita la più bella voce di Sanremo.
Lo scrisse in una sua rubrica su La Stampa. Quel pezzo l’ho incorniciato e attaccato in cameretta, io che in casa non tengo nulla, nemmeno i David di Donatello.
Nulla.
No, altrimenti uno diventa come Manuel Fantoni (personaggio in Borotalco di Verdone celebre perché millantava amicizie importanti). Quando ho saputo di Mina neanche ci credevo, ero convinta fosse uno scherzo di Rocco Tanica e Furio Andreotti.
Ma era su un articolo di giornale.
Appunto, ero convinta avessero stampato un giornale finto. Questa è la mia autostima.
Resta il giudizio di Mina.
Il problema è che da ragazza non avevo il fuoco dentro per la musica; un giorno un produttore mi disse: “Decidi quale genere musicale vuoi cantare, e punta su quello”. Ecco, non lo sapevo, quindi mi sono buttata sull’attrice.
Quanti Manuel Fantoni ha conosciuto?
Ce ne sono, ma non del livello meraviglioso raggiunto con Carletto (Carlo Verdone); il suo è il massimo.
Va al supermercato?
Sì, tranquillamente, nel mio quartiere oramai mi conoscono tutti, passo quasi inosservata.
Quasi.
Ogni tanto qualcuno mi indica e spara la solita frase: “Guarda, fa la spesa!!!”. E io gli rispondo: “Sì, anche io me devo alimentà”.
Cucina anche, dicono bene.
Mi piace tantissimo, specialmente quando ci sono gli amici; peccato, non capita spesso, quando giro la sveglia è alle cinque del mattino e al massimo la sera mangio in maniera grigia, da ospedale, magari una sogliola.
Un collega che stima.
Ecco, ora scattano i nomi e rischio di offendere qualcuno.
Un inattaccabile.
Rosario Fiorello, l’altra settimana sono andata in trasmissione da lui (Il Rosario della sera) ed è stato divertimento puro, avrei proseguito per ore.
(Squilla il suo cellulare. È casa. La figlia sta preparando una recita scolastica, interpreta un topino quando avrebbe preferito il ruolo da principessa).
E lei, tra topino e principessa?
Il topino tutta la vita per il timore della parte da principessa, ma con il desiderio di farla.
Si sarebbe nascosta?
È paura di andare in scena.
Da quella non si scappa.
Resta per sempre: ricordo una sera prima di un debutto, io con Dario Fo, lui già 89enne, già Nobel, eppure per la tensione mi ha stritolato la mano fino all’apertura del sipario; quel momento mi ha emozionato più di tutto il resto delle spettacolo, e ancora oggi mi commuove quando ci penso.
Secondo molti critici lei è ancor più brava come attrice drammatica.
Mi fa molto piacere, però non credo esistano soltanto parti drammatiche o comiche: nei nostri film ci sono sempre delle dosi di malinconia, si ride sempre delle miserie.
Monicelli insegna.
E questo stiamo cercando di portare avanti, non al loro livello, ma su quel filone.
Manca il loro cinismo.
Un po’ è così.
Vede mai i suoi film in sala?
Per forza, devo capire come reagisce il pubblico, mica siamo a teatro dove il “polso” è immediato; quindi mi infilo di nascosto tra le ultime file e ascolto le risate o i mugugni.
Chi riesce a strapparle una risata?
Nella vita di tutti i giorni?
Va bene.
Allora Massimiliano Bruno: per me è importantissimo, rappresenta quell’amico in grado di sdrammatizzare le situazioni, in grado di ascoltarti, di affrontare i rodimenti di culo altrui, e non è comune.
Al cinema?
Ci sono film di Carlo Verdone, come Borotalco, che conosco a memoria, e quando mi sono ritrovata sul set con lui, e mi trattava da collega, restavo in silenzio per rendermi conto della situazione. Non ci credevo. Ero terrorizzata.
Come ha risolto?
Quando sono in crisi penso sempre a Roger Rabbit e alla scena di “ammazza la vecchia”. Quella mi rilassa; sorrido, mi calmo, e tutto ha inizio.
(Tra il topino e la principessa, con lei vince il coniglietto).