Il Messaggero, 28 aprile 2019
Il boom dei vini rosati
«Oggi i rosati sono i vini che crescono di più a livello internazionale e meno in Italia. Ma entro 5 anni, prevediamo un boom anche da noi». Danis Pantini, responsabile di Wine Monitor di Nomisma se ne è convinto analizzando i numeri del mercato del vino più vivace al mondo, quello statunitense. «A fronte – spiega – di un calo in Usa dell’import dei vini rossi dell’1%, dei bianchi del 3,5 e con gli spumanti che reggono (+4,6%), l’acquisto di rosè nel 2018 ha avuto un impennata: +23,3%, con i francesi cresciuti del 31% e gli italiani del 17%».
Dopo l’exploit del prosecco (il 20% del mercato dei vini sparkling in Usa) la speranza è ora l’apertura di un nuovo segmento di mercato. Il dato più significativo riguarda le vendite di rosato nelle grandi catene che dai 120 milioni di dollari di valore del 2014 è passato lo scorso anno a quasi 500 milioni. Con l’Italia che per ora vale solo 23 milioni di dollari contro i 217 della Francia. Se i francesi la fanno da padroni, i produttori italiani hanno finalmente deciso di organizzarsi creando Rosautoctono, l’Istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano per affrontare assieme i mercati internazionali. Ne fanno parte le denominazioni Bardolino Chiaretto (in Veneto, 10 milioni di bottiglie prodotte), Valtènesi (Lombardia, 2 milioni di bottiglie), Cerasuolo d’Abruzzo (6 milioni), le pugliesi Castel del Monte e Salice Salentino (complessivamente 1,3 bottiglie) e il Cirò calabrese (2 milioni).
I PREZZI
«È indispensabile oggi coordinare a livello nazionale le azioni di promozione dei vini rosati per essere efficaci nell’intercettare il nuovo interesse che questa tipologia di vini sta incontrando sui mercati», afferma Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini. «Prima di tutto aggiunge – nei paesi anglosassoni dove dobbiamo contrastare l’aggressiva strategia francese, contro la quale possiamo giocarci al meglio la ricchezza varietale e produttiva dei nostri rosati in grado di rispondere a diverse istanze di consumo e di prezzo».
Non è del resto la prima volta che Francia e Italia si trovano su fronti opposti, anche a livello normativo. «È grazie all’Italia ricorda Dario Stefàno, senatore Pd e a lungo assessore all’agricoltura in Puglia che in Europa sono stati tutelati i rosati da vitigni autoctoni, impedendo uno scempio come la possibilità di produrre mescolando bianchi e rossi». Per ora il primato francese sembra intoccabile, anche per le quantità prodotte: arriva da Oltralpe il 28% dei 20,3 milioni di ettolitri di rosato del mondo, il 5,5% dalla sola Provenza. L’Italia produce appena il 10% preceduta da Usa (17%) e Spagna (15). Gli spagnoli sono i più forti nell’export, ma a prezzi bassissimi. I rosati francesi allo scaffale in Usa hanno un prezzo medio di 13 dollari contro i 10 di quelli italiani e i 7,75 della produzione degli stessi States. A livello di consumi le distanze sono ancora maggiori: il 36% del rosato viene bevuto dai francesi, il 15% dagli statunitensi, il 7% dai tedeschi ed appena il 5% dagli italiani (circa 30 milioni di litri di rosato fermo e 8 milioni di litri di rosato frizzante).
«Molti produttori li considerano solo un completamento di gamma e i consumatori come la bottiglia da abbinare in estate per non usare il rosso o un bianco troppo ghiacciato», lamentano Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, che hanno presentato al Vinitaly la prima guida di Slow Food Editore ai vini rosa d’Italia. Una dimostrazione anche questa del nascente interesse al settore non solo da parte delle donne, ma ora dai giovani, tanto da essere stata coniata in usa la definizione di Millennials Pink. «Anche noi afferma Francesco Liantonio, presidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Castel Del Monte e vicepresidente di Federdoc guardiamo alle dinamiche di consumo e vediamo un futuro rosa, ma a condizione che si produca da vitigni autoctoni a bacca nera, per garantire l’autenticità e distinguerci da altri».