La Stampa, 28 aprile 2019
Ladri di biciclette
«Questo non è un film, è la realtà», scrissero al regista Vittorio De Sica alcuni spettatori milanesi quando, 71 anni fa, assisterono a una delle «visioni speciali, con dibattito e referendum» di Ladri di biciclette. Ho sempre creduto che fosse vero, ma per la vita com’era a quei tempi: il neorealismo come specchio di quel passato, ma improrogabile per qualunque futuro. Sbagliavo.
Giorni fa, sono andato al cinema Lumière di Bologna per vedere la pellicola restaurata dalla Cineteca. Avevo appuntamento con un amico dei tempi di scuola. Lui è arrivato con una bicicletta blu elettrico, l’ha legata a un palo e quando siamo usciti non c’era più. Non è sembrato scosso: in città ne spariscono di continuo. Ha detto: «Domani la cerco». Pensavo volesse andare strada per strada in quartieri di periferia, quando ha aggiunto: «Su Internet».
Le opzioni, mi ha spiegato erano due. La prima: mettere la foto sul sito Bikewatch.com e aspettare una segnalazione. Funziona? Trenta volte nel primo anno, 134 lo scorso. La seconda: dragare gli annunci di offerta bici usate e vedere se qualcuno la stesse già (il termine gli è parso opportuno) «riciclando». Conosce uno che è andato dal venditore della propria con i carabinieri. Quello si è difeso dicendo che l’aveva comprata a sua volta da uno sconosciuto per 15 euro e se l’è cavata con una denuncia per incauto acquisto.
Come nel 1948
La casistica è variopinta: tempo fa un robusto indigeno quarantenne è salito sull’autobus della linea 13 a torso nudo con una bicicletta del bike sharing in spalla. Un passeggero ultrasessantenne, età che per educazione tende a farsi gli affari pubblici, ha chiamato la polizia dal cellulare e l’ha fatto arrestare al capolinea, da cui intendeva proseguire pedalando. Lo aspettava un ricettatore pachistano, spacciatore a tempo e a piede libero.
Mi è venuto il sospetto che per capire la realtà questa Italia del 2019 si potesse semplicemente ricominciare dai ladri di biciclette, come nel 1948. I numeri dimostrano la consistenza del fenomeno: all’ultima rilevazione, datata 2012, i furti erano stati 320 mila. L’anno scorso dovrebbero aver superato i 400 mila e il valore di 100 milioni di euro. Il 50% dei possessori di bici se la sono vista rubare almeno una volta, diventando una categoria di fatalisti prima e di sfiduciati poi, dato che i più evitano di denunciare all’autorità, non credendo nelle indagini e nel recupero. Un terzo dei furti è opera di tossicodipendenti, un altro terzo di organizzazioni che effettuano prelievi notturni di massa con furgoni, l’ultimo terzo è pura improvvisazione. Come disse un uomo di Parabiago ai poliziotti che lo arrestavano mentre scavalcava una recinzione con la bici altrui in spalla: «Vabbè dai, ho fatto una cazzata!».
L’epicentro del fenomeno
A quel punto mi serviva un epicentro del fenomeno e credo di averlo individuato nell’insospettabile Saronno, tranquilla cittadina lombarda a una trentina di chilometri dalla Svizzera, circa quarantamila abitanti di cui il 12% stranieri residenti e regolarizzati, amministrazione a guida leghista dopo un lungo periodo di governo del centrosinistra, sede della federazione italiana di tchoukball, una variante della pallamano inventata da un biologo elvetico per sostenere la libertà d’azione, regolata da una carta etica e dichiarata dall’Onu «sport a sostegno della pace e della fratellanza». Intanto, a Saronno, c’è un furto di biciclette al giorno e ognuno narra una storia e fotografa una realtà (non è dal neorealismo che eravamo partiti?).
Sono aumentate le telecamere, nati i gruppi di sorveglianza su Facebook, si è proposto di targare anche questi veicoli, tutto inutile: non si risparmia niente e nessuno. Niente: rubata in un condominio una bicicletta con un pedale rotto. Nessuno: derubato (anni fa) anche un consigliere comunale mentre era impegnato in commissione. Nella circostanza il Paleardi Alberto si improvvisò investigatore, non ritrovò la propria bicicletta, ma ne rinvenne altre venti, abbandonate tra gli sterpi.
Inevitabilmente qualcuno dice: la situazione è peggiorata con tutti questi migranti che girano per le strade e non hanno niente da fare. Vero è che un tunisino di 33 anni è stato sorpreso mentre caricava su un furgone i pezzi smontati e imballati di trenta biciclette rubate, destinazione porto di Genova e da lì Tunisia. Altrettanto che un gruppo di migranti accolti nella casa parrocchiale di piazza della Libertà ha visto sparire le biciclette che aveva ricevuto in dono e lo stesso è accaduto a due profughi nigeriani in pieno centro. Il ladro è poi stato raggiunto mentre passeggiava tenendo una refurtiva con la mano destra e l’altra con la sinistra.
Guerra tra poveri
L’episodio più significativo è avvenuto un mese fa, nel tardo pomeriggio, accanto al santuario della Beata Vergine dei Miracoli. Il viale è semideserto: alberi, panchine, una rastrelliera per cicli. È lì che una residente vede due uomini affannarsi per strappare la catena che imprigiona una ruota. Ci sono quasi riusciti quando, come fece invano l’attacchino Antonio Ricci nel film di De Sica, la donna grida: «Al ladro!». È qui che la scena cambia. I due ladri si dividono, la donna prova a inseguirne uno, ma resta indietro. Raccoglie il testimone della staffetta antifurto un giovane senegalese che induce il fuggitivo a una veloce deviazione in via Varese. Quando svolta lo vede abbrancato da due ucraini che lo trattengono fino all’arrivo della polizia. La cittadina che ha dato l’allarme racconta entusiasta l’esperienza sulla seguitissima pagina «Sei di Saronno se». Tra i commenti che appariranno su un sito locale: «Opps! Questo è italiano: allora prenderà 15 anni di carcere!!!», «Per una bicicletta non va in galera nessuno», «Se straniero blocca italiano, bravissimo, magari gli diamo la cittadinanza; se italiano blocca straniero, mmhhh, situazione dubbia» e il più amaro per la donna che ha sventato il furto: «La signora è stata molto accurata nel percepire i vari luoghi d’origine. Propongo di mandarla a lavorare in dogana, così non serve chiedere i documenti».
La frontiera, come detto, non è lontana e molte biciclette trafugate a Chiasso e dintorni la superano per essere rivendute in Italia. Riguardando il film della realtà resta che la guerra e il furto tra poveri non sono mai cessati, continua la sfiducia nella giustizia e il presunto rimedio oggi è il commissario Internet.