la Repubblica, 28 aprile 2019
La Sicilia anticipa il voto nazionale
Guardate queste persone: erano le stesse che osannavano Forza Italia e Berlusconi, poi hanno iniziato a osannare il Movimento 5Stelle e Beppe Grillo. Ora osannano noi e soprattutto voteranno per noi». Alessandro Pagano, ex deputato di Forza Italia e poi dell’Ncd di Alfano, prima ancora assessore nella discussa Giunta Cuffaro, adesso è parlamentare della Lega. Ma non un semplice eletto, per Matteo Salvini è una sorta di “guida speciale” in Sicilia. Lo ha scortato anche nell’ultima incursione nell’Isola del 25 aprile. E in pubblico ripete sempre la stessa scommessa: «Alle europee qui prendiamo il 30 per cento». Al di là dei suoi entusiasmi magari sproporzionati -, però, c’è qualcosa nel “laboratorio” siciliano che spesso anticipa il dato nazionale. Rappresenta una sorta di pendolo delle delusioni e dei successi. In particolare mette in mostra la ormai caducità dei sentimenti politici degli italiani. Pronti a sostenere con una certa radicalità chi offre un sogno o, magari, chi si presenta come il nuovo potere. E a punire con severità chi viene giudicato la causa della loro delusione. Un pendolo, che si sposta rapidamente da un vertice all’altro. Insomma la Sicilia marchia il vento che inizia a spirare e che spesso spazza tutto il Paese. Le code per fare solo un selfie con Salvini, le piazze riempite per ascoltare le parole di quello che viene considerato il leader nazionale venturo, la semplice curiosità. Sono, appunto, elementi di un unico segno. Che sovente, tra Palermo e Catania, rappresenta una sorta di start per far scattare onde elettorali o correzioni basilari del sistema politico. Basta andare rileggere alcuni precedenti per capire quanto quest’isola abbia preannunciato alcune delle svolte politiche più importanti. In particolare quando il cambiamento favoriva la destra o il centrodestra. Il 20 marzo 1994, mancavano pochi giorni alla prima tornata elettorale con il Cavaliere e Forza Italia. Il capo forzista scende per la prima volta a Palermo. Si presenta al Padiglione 20 della Fiera del Mediterraneo e, nello stupore generale, lo trova stracolmo. Addirittura qualcuno si mette a stampare biglietti falsi pur di esserci. Una settimana dopo Forza Italia, appena nata, si rivelò il primo partito italiano. Episodi analoghi nel 2001, in vista della nuova affermazione berlusconiana. Nelle comunali della primavera ’99 il centrodestra volò ampiamente oltre il 50 per cento. A Catania, nel 2000, vinse Scapagnini, il medico personale del capo forzista. Dati che hanno poi confezionato il cosiddetto 61 a 0 nei collegi uninominali dell’anno successivo. Così come lo stesso centrodestra siciliano ha configurato al suo interno con qualche mese di anticipo la “fine” di Berlusconi del 2011.Nel 2009 lo strappo tra Fini e il Cavaliere si consuma prima nella giunta regionale dell’Isola con l’attacco composto da finiani e uomini di un ex fedelissimo berlusconiano, Gianfranco Miccichè. Solo dopo quella prova di forza, venne presentata a Montecitorio la mozione di sfiducia contro l’allora presidente del Consiglio. I segnali premonitori si sono manifestati anche nel centrosinistra. Prima della vittoria “mutilata” del Pd di Bersani nel 2013, ad esempio, il centrosinistra è riuscito a fare un piccolo filotto a livello locale. Nel 2012 strappa la regione con Crocetta e Palermo con il ritorno di Leoluca Orlando. Più di recente l’exploit del M5S è stato “testato” proprio in Sicilia in due occasioni successive: nel 2012 e nel 2017. Nella prima Grillo usò l’escamotage comunicativo dell’attraversamento a nuoto dello stretto di Messina. I pentastellati non avevano eletto ancora nemmeno un parlamentare. L’ex comico fece un tour de force di nemmeno 20 giorni registrando il pienone in ogni piazza. Un “vaffa-day” continuato e ripetuto. Risultato: il Movimento si rivelò a sorpresa il primo partito isolano. Cinque anni dopo il “modello Sicilia” si confermò: i grillini arrivarono a quota 34,6 per cento. Pochi mesi dopo, nel marzo 2018, l’M5S superò il 32 per cento a livello nazionale sbarcando al governo del Paese. Una serie di precedenti, dunque, su cui Salvini in questi giorni ha riflettuto. Il risultato delle comunali che si svolgono oggi, infatti, non sarà indifferente nelle scelte del segretario leghista. Sebbene sia solo un capoluogo di provincia, Caltanissetta, ad aprire le urne, sono tanti i comuni popolosi (a cominciare da Mazara del Vallo) che oggi si misurano. Sarà significativo perché la decisione di rompere il “contratto” di governo con l’M5S si basa anche su un mero calcolo aritmetico e su un quesito: quanti collegi uninominali la Lega può conquistare da sola? Ossia senza Forza Italia che ha rappresentato l’elettore medio siciliano fino a pochissimo tempo fa? Essere il primo partito in Sicilia sposta di molto l’ago della bilancia. E quell’ago, come dimostrano le code dei nuovi e improvvisi supporter salviniani, ha già iniziato a oscillare nel momento in cui Berlusconi, leader al tramonto del centrodestra, ha di fatto autorizzato l’ex alleato a dare il via libera all’esecutivo Conte. Per gli elettori siciliani, è stata una sorta di legittimazione. Un via libera a spostarsi sul nuovo capo. Il capo della destra e non più solo della Lega nordica. Anzi, il retaggio secessionista e antisudista d’un colpo sembra svanito. Il bacino centrista così si ricompone nel voto di “posizionamento”, prima frammentato tra le varie componenti “moderate”. Lo slittamento dell’asse in Sicilia, poi, ha una sorta di moltiplicatore quando riguarda la destra. Molti siciliani ricordano ancora come nel 1971 il Msi – forza non costituente del Parlamento e a quel tempo sostanzialmente emarginata con il marchio anticostituzionale del fascismo sfondò la soglia del 16 per cento ponendo le condizioni per l’exploit missino del 1972 a livello nazionale (quasi il 9 per cento). Il vento, dunque, in Sicilia di frequente si trasferisce sulla Penisola. E forse non è un caso che il “potere reale” del governo – dalle aziende pubbliche alla Rai – si stia riversando sul ministro dell’Interno. Come quasi sempre accade nel campo rinnovato dell’opportunismo della politica.