La Stampa, 27 aprile 2019
Editor in chief
«Il lavoro del futuro è quello di editor in chief», di direttore di giornale, ha titolato con enfasi calcolata il sito americano Axios. «Visto che con lo smartphone si ha accesso a tutte le canzoni, a tutti i film e a tutti i libri, e che lo si può usare per qualsiasi cosa, per ordinare da mangiare, per trovare un fidanzato e per chiamare un taxi, molte aziende hanno capito di avere bisogno di una nuova arma nella guerra per catturare l’attenzione dei consumatori: hanno bisogno di un editor in chief».
È l’onda lunga della rivoluzione digitale, quella che segnala Axios: chi si era convinto, grazie a Internet, di poter fare a meno dei media tradizionali e dei professionisti della comunicazione per raggiungere direttamente i propri clienti, oggi comincia a rendersi conto che la tecnologia e la disintermediazione non sono sufficienti a trasformare un’azienda tessile o chimica o meccanica in una produttrice credibile di contenuti informativi.
Da questa presa di coscienza, arriva una nuova centralità per le media company tradizionali perché da un lato si è creato un enorme mercato di contenuti ad hoc per le aziende che vogliono comunicare direttamente attraverso i propri siti, i canali social, le reti intranet, i magazine corporate e gli spazi acquistati sui media; e dall’altro, segnala Axios, la difficoltà di comunicare con i consumatori sempre più distratti da una quantità gigantesca di notizie convince sempre più le aziende ad assumere editor in chief, creatori di contenuti e di storytelling, per confezionare in casa podcast, eventi, siti e riviste corporate che sappiano informare e intrattenere i clienti.
Gran parte di questi nuovi lavori non sono giornalistici in senso classico: sono figure nuove, diverse da quelle consuete di capo della comunicazione e di ufficio stampa; sono i capi dei contenuti, anche se a essere assunti sono proprio i giornalisti.
Blackrock, il gigante della gestione del risparmio, ha appena affidato il ruolo di capo dei contenuti a Rich Latour, ex giornalista della Nbc, strappandolo a Goldman Sachs, dove curava la strategia dei contenuti digitali. Da qualche anno, Goldman Sachs produce talk show di informazione che distribuisce su YouTube, Twitter e Facebook, ma anche su piattaforme come Hulu, Amazon Prime e Spotify. L’operatore telefonico americano Verizon cerca un editor in chief dei social che, si legge sulla pagina LinkedIn, sarà responsabile della visione, della narrazione e della strategia creativa dell’azienda.
La proporzione dei professionisti dell’informazione che nelle loro pagine LinkedIn segnalano di lavorare in ruoli da editor in società non editoriali, secondo quanto risulta ad Axios, è cresciuta del 32 per cento negli ultimi anni.
Il fenomeno non è solo americano, qualche mese fa anche il gruppo italiano Tod’s ha assunto con la qualifica di «Men’s Collections Visionary» Michele Lupi, già direttore di riviste di carta come GQ, Rolling Stone, Icon, Icon Design e Flair.
Altri grandi gruppi italiani – Eni, Generali, Pirelli, Leonardo, Alitalia, Ferrari, Ferrovie dello Stato, per citarne solo alcuni – producono contenuti in proprio, digitali e cartacei, costruendo redazioni giornalistiche interne o affidandosi a professionisti esterni, oppure dando in appalto i contenuti agli editori.
Sono soprattutto le grandi aziende digitali americane a esplorare il territorio della comunicazione giornalistica e, in molti casi, anche fisica, di carta. Aveva iniziato l’estate scorsa Facebook, con la rivista Grow. A giugno, Netflix pubblicherà un magazine di carta, Wide, di 100 pagine, affidato a un’ex giornalista di Vanity Fair. Overheard, nato come brand di local news su Instagram, ha lanciato la prima edizione cartacea a Los Angeles, The Overheard Post. Molto apprezzato per il design e la gabbia grafica è il magazine di carta di Airbnb, distribuito gratuitamente a chi mette a disposizione del network la propria casa oppure a chiunque paghi un abbonamento di 18 dollari l’anno per sei numeri. Bumble, un’app di appuntamenti, pubblica un rivista semestrale di lifestyle con il gruppo Hearst, che è il primo gruppo di periodici del mondo. L’azienda hipster di consegna di materassi a domicilio, Casper, pubblica Woolly Magazine con McSweeney’s, la casa editrice fondata da Dave Eggers. I produttori di valigie Away pubblicano Here, un raffinato magazine di viaggi giunto questo mese al secondo numero.
A marzo, Buzzfeed ha stampato una rivista di carta, scherzando sul fatto che un’azienda nata su Internet e sui social stia «provando una nuova tecnologia che si chiama stampa». Altre start up digitali si affidano invece a newsletter, podcast, addirittura a libri. Conclude Axios: «Così come si dice che tutte le aziende oggi sono anche aziende tecnologiche, forse dovremo dire che tutte le aziende sono anche aziende editoriali». Oppure, anche, meglio affidarsi a chi è del mestiere.