Corriere della Sera, 27 aprile 2019
Le piazze piene al Sud
ROMA Bambini che gli dedicano disegni, migliaia di selfie, abbracci commossi in piazze gremite all’inverosimile. Matteo Salvini ha sfondato in Sicilia, il bastione che fino a qui aveva resistito al suo urto. Il successo gli fa apparire «lontanissime» le schermaglie romane e gli attacchi ininterrotti dei 5 Stelle e lo dice a più riprese. Luigi Di Maio prova a contrastarne l’avanzata, ma un solo appuntamento a Caltanissetta non basta a reggere il confronto con la due giorni salviniana a tappeto in tutta l’isola.
E così, Di Maio prova a snidarlo martellando sul caso Siri: «Quando qualcuno di noi sbaglia lo mettiamo alla porta dopo trenta secondi. Se finisci in un’indagine legata alla mafia, vai in panchina». Picchia anche il sottosegretario Mattia Fantinati: «Non è certo che Paolo Arata sia legato a un prestanome di Messina Denaro, lo accerteranno i giudici, ma sicuramente era in conflitto di interessi sull’eolico». Fino all’acuto: «La scelta di fargli scrivere il programma si è rivelata quanto meno azzardata».
Ma Salvini non si fa smuovere dalla decisione di non commentare quanto gli piove addosso dai 5 Stelle, se non in chiave locale. In alcuni passaggi dei suoi comizi, in riferimento al fatto che «su certe strade» della Sicilia «servono i fuoristrada», promette: «Interesserò Toninelli», il ministro ai Trasporti. Immediata arriva una risposta dal ministero, il Mit: «Si ricorda che in Sicilia solo 4 mila chilometri di strade sono statali e gestite da Anas. Il resto della rete, poco meno di 20 mila chilometri, è appannaggio di Regione ed enti locali. Al ministro dell’Interno, che probabilmente ha fatto confusione sui dati, si suggerisce di chiedere conto dello stato di degrado di queste ultime in primis ai governi di centrodestra che hanno a lungo governato la Regione e all’attuale presidente Nello Musumeci».
E così, se il leader leghista si gode, anche commuovendosi, il bagno di folla, gli umori tra i leghisti sono ogni giorno più cupi. Il fatto è che si sentono accerchiati. Qualcuno parla di un «copione come nel 1992» sul fronte giudiziario «e del resto non c’è da stupirsene visto che il ministro ombra dei 5 Stelle è Piercamillo Davigo. Se poi ci mettiamo il fatto che i giornali e le tivù sono tutti contro...». Grande inquietudine ha suscitato anche l’intervista a La Stampa di Roberto Maroni, in cui l’ex governatore dice che «la vera crisi» potrebbe arrivare per il caso dell’assunzione del figlio di Arata da parte del sottosegretario Giorgetti». Quest’ultimo replica: «Fino a tre settimane fa qualcuno sapeva della famiglia Arata? No, e nemmeno io... Federico Arata ha tutte le carte in regola per far parte del mio staff, ed è finito nel tritacarne prima di aver cominciato a lavorare».
Se gli alleati puntano a mettere radici nel Mezzogiorno, guidati dal loro centravanti di sfondamento, i 5 Stelle arrancano e provano a giocare la carta del risentimento meridionale verso la vecchia Lega nordista. E così non è sfuggito al bombardamento di insulti social il rettore di Salerno Aurelio Tommasetti, che si è candidato con la Lega e ha pubblicato un post con il paradossale (per la Lega di ieri) slogan «Prima il Mezzogiorno».
Ma l’attacco più forte arriva da Giorgio Trizzino, deputato considerato vicino al presidente della Repubblica. Il medico palermitano lancia un vero «appello ai siciliani», con parole durissime verso Salvini, accostato a Benito Mussolini. Trizzino scrive: «Noi siciliani abbiamo il dovere di conservare la memoria del disprezzo che dalla Lega Nord fino a poco tempo fa si riversava sulla nostra identità. Ci definivano fannulloni, incapaci, mafiosi, sanguisughe. Oggi vengono a chiedere il nostro voto». Il post di Trizzino si conclude con l’appello al voto: «Se vogliamo veramente cambiare il nostro Paese confermiamo la fiducia al M5S e sosteniamolo perché si possa affrancare da accordi con forze politiche che hanno visioni diverse dalle nostre».