il Giornale, 27 aprile 2019
L’Eusko e le altre micromonete
C’è una moneta in Europa che se la passa bene, molto bene. Nessuno vuole uscirne anzi in tanto vogliono entrarci. Si chiama eusko ed è una valuta locale usata a Bayonne e in quell’area della Francia sud-occidentale, ai piedi dei Pirenei, dove vive i 300mila baschi francesi. La moneta è stata inventata il 31 gennaio 2013, e malgrado i tentativi di Parigi di bloccarne la diffusione, continua a crescere. Qualche mese fa è stato festeggiato il primo milione di eusko e al 31 dicembre 2018 ne circolavano 1.097.280 (412mila cartacei con tagli da 1, 2, 5, 10 e 20 e il resto virtuali, caricati sulle euskocart), cifra che ne fa la moneta locale più diffusa d’Europa.
Ma a cosa è dovuto il successo dell’eusko? Intanto alla sua semplicità: un eusko vale un euro, punto. Poi naturalmente c’è il piacere di una comunità piccola ma fiera di vedere la propria identità rappresentata in forma di banconota, naturalmente con tutto il carico di simboli e vocabolario. E poi l’eusko, avendo corso legale solo a Bayonne e in altri 16 comuni, incoraggia il commercio di prossimità, essendo smerciabile solo nei negozi che lo riconoscono. «È una valuta vera, non un gioco», spiega Martine Bisauta, vicesindaco di Bayonne, che ha richiesto di ricevere parte del suo stipendio in eusko. L’eusko è «governato» da un’associazione, Euskal Moneta, che conta sul lavoro di alcuni dipendenti, a partire dal presidente Dante Edme-Sanjurjo, pagati con i soldi derivanti dal sottoscrizioni e da sussidi pubblici. «Ma il nostro obiettivo è raggiungere entro il 2021 l’autonomia finanziaria», giura lo stesso Edme-Sanjurjo.
L’eusko è la moneta più diffusa delle tante locali che circolano in Europa. La seconda è il Bristol Pound (simbolo £B), utilizzato dal settembre 2012 nella città inglese sull’Avon (il motto è: «Our city, our money»), di cui circolano il corrispondente di 780mila euro (il cambio è alla pari con la sterlina britannica). Anche in questo caso lo scopo è incoraggiare i cittadini di Bristol a spendere i loro soldi nei negozi della propria città. Anche le tasse possono essere versate in £B e pare proprio che questo renda più lieve pagarle (ci fidiamo). Il precedente sindaco, George Ferguson, si vantava di ricevere l’intera retribuzione, pari a circa 51mila sterline, nella coloratissima valuta cittadina.
In Germania c’è il Chiemgauer, più antica delle altre due (nacque nel 2003) ma un po’ meno diffusa: ne circolano circa 650mila a Prien am Chiemsee e nella regione del lago Chiem, in Baviera. Caratteristica di questa valuta è il cosiddetto Demurrage, un sistema di svalutazione continua che consiste nell’apporre su ogni banconota un francobollo pari al 2 per cento del suo valore ogni tre mesi per continuare a renderlo valido: un modo per evitare speculazioni e stimolare il consumo.
Negli Stati Uniti, in Massachusetts, potreste imbattervi nei BerkShares (ognuno vale un dollaro ma costa 95 cent). Di altro genere sono la svizzera Wir, valuta complementare nata nel 1934 a Zurigo e avente solo funzione contabile; la giapponese Fureai Kippu e l’americana Ithaca Hours, che remunerano il tempo speso in servizi sociali.
E in Italia? Qualche anno fa il sindaco di Napoli fece stampare il Napo, sorta di moneta equosolidale dal meccanismo piuttosto cervellotico. Pochi se la ricordano, perché ha avuto vita davvero breve e nessuna fortuna. Insomma: naporcata.