Libero, 27 aprile 2019
Biografia di Armando Siri
La portiera si è aperta, ma l’Armando non è ancora caduto giù. Resiste, il sottosegretario leghista, malgrado il suo ministro, il prode Toninelli, gli abbia tolto le deleghe e il vicepremier grillino Di Maio ne abbia chiesto ripetutamente la rimozione a Salvini. Il punto è però che per Matteo, Siri non è uno qualsiasi. Non è un pezzo di cuore, perché i politici sanno essere cinici, ma un pezzo di cervello sì, tanto che il leader leghista lo ha voluto al tavolo quando è stato il momento di redigere il contratto di governo. Il futuro sottosegretario stava alla destra di Giorgetti, il numero due della Lega, in rappresentanza e tutela delle istanze economiche del partito, le più importanti. Dei tre moschettieri che in campagna elettorale erano deputati alle questioni di soldi, Siri era l’unico al tavolo. Gli altri due, Bagnai e Borghi, non erano stati neppure presi in considerazione. Se non è ancora caduto, l’Armando è comunque sotto un treno. Ha passato i giorni di vacanza pasquali rintanato in casa sua, a Genova, teso come una corda di violino. Ieri però sul treno ci è salito, per andare dal suo avvocato, Fabio Pinelli, e studiare le ultime carte depositate dalla Procura, che evidentemente ha ricevuto dopo i giornali. È pronto a incontrare il premier Conte per chiarirsi e ribadisce ossessivamente di non aver preso un euro dei 30mila di cui si fa menzione nelle intercettazioni tra l’imprenditore del settore eolico Paolo Arata e il figlio Francesco. L’altro, il secondogenito Federico, è consulente di Giorgetti alla presidenza del Consiglio. Siri è confuso, come sarebbe chiunque non capisce di cosa è accusato e sulla base di quali prove. L’unica cosa che lo tiene in piedi è la copertura totale che gli ha dato il segretario, Salvini, con il quale si sente ripetutamente e che, in privato come in pubblico, non gli ha mai fatto mancare il sostegno. Come non glielo stanno facendo mancare gli altri leghisti, malgrado certe ricostruzioni giornalistiche dicano l’inverso. Il rapporto tra Armando e Matteo non è di vecchia data. Siri non è un Morelli, un Fontana, un Molteni, un Molinari o un Bolognini, ragazzi cresciuti con il segretario da prima che lo divenisse. È approdato in Lega che aveva già quarant’anni, dopo un denso ventennio di attività politica presso altri lidi. Ma ha spaccato subito.
LE DUE ARMI
Due le sue scommesse vincenti: la flat tax alla leghista, che è stata, con la demolizione della Fornero, l’arma vincente del Carroccio alle Politiche del 2018, e la Scuola Politica della Lega, che ormai ha cinque anni ed è un appuntamento fisso delle domeniche d’autunno e inverno del partito. Raccoglie iscritti e denaro e ha un parterre di primo livello. Se non ci vai almeno una volta l’anno, nella Lega non sei nessuno. Quanto all’aliquota unica, tranne che per le partite Iva sotto i 65mila euro l’anno, finora è la grande promessa mancata. Da un paio di mesi, Siri si era attivato per inserirne altri pezzi nella prossima Finanziaria, a beneficio di famiglie è aziende. Costa 13 miliardi, secondo le sue stime, e Salvini si è convinto a riproporla alla vigilia delle elezioni Europee. Lo schema è semplice: se il 26 maggio si vince, si forza la Ue così da far slittare di un anno lo scatto delle clausole di salvaguardia dell’Iva e si usano i soldi risparmiati per varare un altro troncone di flat tax. I grillini non gradiscono, e probabilmente anche per questo si accaniscono particolarmente contro Siri, anche con argomenti pretestuosi. D’altronde, Di Maio e soci lo individuarono subito come il leghista più distante da loro, tant’è che un anno fa boicottarono la sua nomina a ministro. La scusa era il patteggiamento per bancarotta di una società da lui presieduta, la MediaItalia, indebitata per un milione di euro e accusata di aver evaso 162mila euro. L’interessato ha sempre sostenuto di aver patteggiato un anno e otto mesi di reclusione perché non poteva permettersi di affrontare le spese legali. Il precedente non è edificante, ma sarebbe sbagliato rifarsi a esso per giudicare la vicenda attuale. Che se ne pensi bene o male, Siri non è uno scemo e non è credibile che abbia rischiato tutto ciò che ha per 30mila euro, dei quali peraltro ancora non c’è traccia. Non dubito che abbia avuto dei rapporti con Arata. Sta nel suo personaggio. L’Armando è un professionista in pubbliche relazioni, altrimenti non avrebbe fatto una carriera così rapida in un partito leninista come la Lega, fino a diventare nel 2015 responsabile del Dipartimento Economico. Molto l’ha aiutato la parlantina, incisiva e veloce. D’altronde, è stato da fine anni Novanta giornalista, e anche autore, di Mediaset, a Studio Aperto, sotto le grinfie di Giovanni Toti, con il quale va ancora d’accordo. Ha ottimi rapporti con tutti ma si muove da solo, e risponde unicamente a Salvini. Se Matteo gli chiederà il passo indietro, non indugerà un secondo ad accontentarlo, ma non avverrà pubblicamente. Un po’ perché il leader della Lega non ci farebbe una bella figura, dopo aver difeso così strenuamente il suo sottosegretario, molto perché egli non intende umiliarlo, tantomeno rottamarlo; Siri resterebbe comunque in squadra, pronto per nuovi incarichi.
PRIMA LE PERSONE
Prima del segretario leghista, quando ancora era un pischello, l’Armando aveva un altro grande capo, Bettino Craxi, mai rinnegato e più volte da lui definito un grande statista. Delfino di Luca Josi, ora chairman di Telecom, anch’egli genovese, era di casa ad Hammamet e dal suo periodo socialista arrivano gli ottimi rapporti con Berlusconi, che gli hanno aperto le porte della tv del Biscione. Già a quei tempi Siri però era sovranista e sfornava libercoli di natura filosofica ed economica nei quali con preveggenza individuava i punti oscuri e deboli della Ue. «Dobbiamo cambiare l’idea e l’approccio alla politica. Questa società è nevrotica, va troppo veloce e si perdono per strada pezzi di umanità. Bisogna partire prima dalle persone, perché se non conosci te stesso, non vai da nessuna parte». Questo il suo manifesto consegnato alla stampa per la corsa elettorale. Di sicuro l’Armando sa bene chi è, dove vuole arrivare e che cosa vuole fare al governo. Sarebbe beffardo se la sua carriera per una nuova politica finisse per una storia di intercettazioni e mazzette, ossia per il vecchio che avanza. Quanto al reato contestatogli, mazzette in cambio di favori, Siri ha fatto una proposta di legge che favoriva le imprese eoliche, e quindi indirettamente anche quella di Arata, ma questo è il lavoro dei politici. La norma è stata depennata, lui non ha battuto ciglio né ha insistito e non ci sono dazioni di denaro che gli sono riferibili. I grillini vorrebbero che si dimettesse come automatismo in quanto indagato in un’inchiesta di mafia, ma sarebbe un abominio: un automatismo darebbe a qualsiasi pm il potere di licenziare qualsiasi politico solo indagandolo e addirittura potrebbe frenare i magistrati più scrupolosi dall’aprire inchieste per non condizionare la vita politica e i governi del Paese.