Corriere della Sera, 27 aprile 2019
Nello studio di Roberto Peregalli e Laura Sartori
Il trumeau antico reinventato messo nell’ingresso potrebbe essere il biglietto da visita del luogo, assieme a campioni di parquet e mosaici antichi, rotoli di carte da parati d’epoca, oggetti e calchi disseminati ovunque. Librerie a profusione, stampe e pezzi di tessuto incorniciati. Un caos da abitazione intellettuale, eppure qualcosa non torna. Perché questa stratificazione di cose ha un che di campionario colto, più che di arredamento. La verità sta nel mezzo.
«Prima di diventare studio, trent’anni fa questa era la casa dei miei genitori. Alla quale contribuì con la sua estetica Renzo Mongiardino, che la frequentava da amico di famiglia», rievoca Roberto Peregalli, proprietario di questo interno in un palazzo milanese primi ’900 dove ha il suo studio assieme a Laura Sartori. Filosofo lui, architetto lei, famosi per i loro progetti che echeggiano il passato e allievi entrambi, per diverse sorti, di Renzo Mongiardino: «Roberto in modo naturale, grazie alla consuetudine familiare. Io invece per caso, arrivata per uno stage, dopo la laurea a Firenze in restauro e consolidamento delle strutture architettoniche», racconta Laura Sartori. «Dall’idea di avviare un’attività di recupero dei centri storici, mi appassionai a quel modo diverso di fare architettura, tra decorazione e interpretazione degli edifici. Così, conosciuto Roberto, che lavorava già con Peregalli, decidemmo di creare uno studio assieme».
Il luogo fu fin dagli inizi questo: «Molti arredi della mia famiglia sono rimasti. Invece è cambiata la funzione delle stanze», spiega Roberto. Dall’ingresso si snoda un corridoio lungo e stretto: da un lato si allineano librerie e credenze stracolme di oggetti e materiali, dall’altro si aprono cucina e stanze di servizio, trasformate in ambienti di lavoro (per 12 persone in tutto). In fondo inizia l’ex zona privata della casa: «Sala da pranzo e una delle camere da letto ora sono i nostri studi», spiega Laura, introducendo gli spazi, diversi come sono loro.
Circondato da consolle e specchiere (di famiglia), un modellino gigante in legno del duomo di Milano, scaffali traboccanti: così Roberto Peregalli ha voluto il suo «tavolo di lavoro», un pezzo d’epoca con il piano «ampliato» da un’asse di legno, disseminata di schizzi e appunti. Qua e là occhieggiano vasi cinesi, portafoto e un pc portatile in un angolo: «Mi serve solo per le email. Per il resto uso solo matita, penna e carta», precisa lui, quasi orgoglioso. Proseguendo, ecco lo studio di Laura: «Io amo l’ordine. E meno male per Roberto che ci sono io…», sorride lei, mentre mostra la sua «scrivania» che ospita solo qualche foglio e delle matite. «È il mio tecnigrafo di sempre e gli sono affezionatissima: ora è il piano di appoggio dove schizzo e studio». Libri a profusione anche qui: «Li acquistiamo ovunque, molti rari e stranieri che ci servono per la ricerca storica sui nostri progetti».
Creare in coppia, uniti e divisi nelle proprie stanze: «Ma condividiamo tutto: ci parliamo di continuo, soprattutto in viaggio», raccontano. «Io arrivo presto la mattina e mi fermo no stop fino a tardi, lei si organizza più liberamente ma spesso torna alla sera e nei fine settimana», dice lui. «Siamo opposti: Roberto è meticoloso e maniaco del dettaglio, io mi muovo d’istinto e con la visione dell’insieme», ribadisce lei. «Nessuno di noi è facile. Ma siamo complementari, e il risultato premia».
Le ispirazioni, base del lavoro e presenti in ogni ambiente: «Arredi acquistati in giro o disegnati ad hoc, prove di decorazione su tessuti, campioni di materiali ormai inesistenti: pezzi aggiunti per stratificazione, come succede nelle case storiche e vissute», dice lei, mostrando il modellino di una stanza arredata, «tutto ci serve per visualizzare l’idea e mostrarla al committente». L’ultimo luogo è il salotto dove Roberto e Laura ricevono i clienti, la «summa», dove niente è di troppo e ogni oggetto ha un suo perché: «È il primo approccio al nostro modo di progettare», dicono, mentre si guardano attorno. E se qualche cliente si intimorisse? «Non è mai successo. Ma nel caso, vorrebbe dire che forse questo stile non fa per lui».