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 2019  aprile 27 Sabato calendario

Il pensionato pestato dai giovani bulli

Ragazzini che chattano fra loro. Uno manda all’altro un filmato. Si vede un gruppo di giovani che entra in casa di un uomo visibilmente terrorizzato. Qualcuno stringe fra le mani un tubo flessibile come quelli delle docce, tutti urlano, quello con il tubo fa come i domatori di leoni quando per tenerli buoni battono la frusta per terra. Si sente il rumore del flessibile colpire il pavimento poi qualche colpo arriva a lui, all’uomo terrorizzato. Gli mettono un maglione sulla testa, urlano di nuovo, a un centimetro dalle sue orecchie. Nella chat alcuni dei commenti sono scritti in dialetto. «Come l’avete combinato il pazzo?», chiede uno dei ragazzi che riceve il filmato. Faccine, punti esclamativi. 
In un’altra conversazione si parla di soldi rubati dal solito gruppetto a casa dello stesso uomo. Trecento euro, scrive uno della banda. «Macchè 300! Ne ha presi solo 30» corregge un altro. Alcuni filmati mostrano la banda all’opera con manici di scopa. 
Questa è una storia di sopraffazione, di bullismo, di malattia. Una di quelle storie costruite su una violenza che il mondo vede quando ormai è troppo tardi. Ma soprattutto è una storia di solitudine: Antonio Stano è morto solo come aveva vissuto per tanti, tantissimi anni della sua vita. Aveva passato il suo ultimo tempo a Manduria, la sua città, blindato in quel posto alla fine del mondo che era casa sua, un tugurio che si fa fatica a descrivere per quanto fosse sporco. Solo e chiuso a chiave perché aveva paura. 
Il 6 di aprile i poliziotti del commissariato locale hanno impiegato un bel po’ di tempo per convincerlo ad aprire quella benedetta porta. Lui era certo che fossero loro, i ragazzi cattivi. E gli agenti a spiegare che «non vogliamo farti del male, per favore apri». 
Gli altri, quelli cattivi, andavano da lui sempre più spesso, a volte dentro casa, a volte fuori. Gruppetti di tre, cinque o più persone che volevano soltanto vederlo spaventato a morte. Si divertivano a urlargli contro maleparole, a dare calci e pugni alla sua porta, a coprirgli la testa o a dargli scappellotti. E, naturalmente, a filmarlo mentre facevano tutto questo. I video di sicuro mostrano la reazione di un uomo incapace di difendersi, rannicchiato nel tentativo – inutile – di schivare tutto. 
Era un uomo malato, Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo conoscevano come «il pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio della chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a casa sua. Dicono che fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era abbandonato a se stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero richiesto le sue condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti che vivono a un passo da lui. 
Si manteneva con la pensione che si era guadagnato lavorando all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria, sapevano che ormai da molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare la sua solitudine, aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le segnalazioni sono arrivate, ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella sporcizia e nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno capito che era un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato senza pietà. I vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse. L’ultima volta, prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito. Perché quando «quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più uscito. Niente spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai più. 
I vicini non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli agenti si sono appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei ragazzini ma quel giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più difficile dell’intervento è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta per lasciarsi aiutare. Da allora in poi è stato in ospedale fino al giorno della morte, con gravi problemi fisici oltre quelli mentali: si dovrà capire se quei problemi sono legati o no alle violenze dei bulli. 
Il racconto più importante è di uno dei due ragazzi maggiorenni fra i 14 indagati di questa storia. Ha svelato le identità degli amici che si vedono nel video più incriminato, ha parlato dei componenti della chat, ha commentato i passaggi delle immagini. Ma poi, quando è stato il momento di firmare la deposizione, ha deciso di non sottoscriverla. Quindi formalmente le sue parole non sono in nessun verbale ma certo quel che ha raccontato sarà molto utile alla procura tarantina di Carlo Maria Capristo, che segue le imputazioni per i maggiorenni, e a quella di Pina Montanaro, a capo della procura dei minori. 
«La mano sarà pesante» ha detto ieri lo stesso Capristo non escludendo nuovi indagati: «I fatti sono gravissimi, non trascureremo niente e non lasceremo spazio al buonismo. Quell’uomo aveva bisogno soltanto di un po’ di umanità».