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 2019  aprile 26 Venerdì calendario

Arrivano 42 milioni di Cobot, la nuova sofisticata generazione di robot che dall’industria entra nelle nostre case

I robot sono tra noi. E lo saranno sempre di più. In che modo cambieranno il nostro modo di vivere? A mettere insieme dati, cifre e previsioni è uno studio Inapp, ente pubblico di ricerca che si occupa di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro. Il dossier, coordinato da Saverio Lovergine (ricercatore all’Inapp e docente all’università Tor Vergata di Roma), descrive così il futuro che ci attende: «La possibilità di comunicare tra le macchine nelle fabbriche apporterà alle linee di produzione la capacità autodiagnostica di rilevare gli errori e correggerli. Mentre la flessibilità degli impianti renderà possibile personalizzare i prodotti in funzione del singolo cliente e i robot lavorando a contatto con l’uomo, apprenderanno da esso in modo naturale… In particolare si sta sviluppando l’autoapprendimento da parte delle macchine: a differenza dei classici software che eseguono un codice che spiega loro ciò che devono fare, coi programmi di autoapprendimento le macchine imparano da sole non c’è modo di sapere come hanno preso le loro decisioni».Il futuribile sta diventano quotidiano. La robotica industriale è tra i settori col più alto tasso di crescita: il 12% l’anno nell’ultimo decennio. Nel periodo tra il 2011 e il 2016 sono stati venduti nel mondo 212mila robot industriali di medio-alto valore l’anno, con un aumento dell’84% rispetto al periodo 2005-2008. La Cina è al primo posto, con 87 mila robot installati nel 2016 (il 30% del mercato mondiale). L’Europa ne ha messo all’opera 56 mila, l’Italia (che risulta settimana al mondo) 6,700 unità.
Che impatto ha la robotizzazione sull’occupazione? L’Inapp cita studi stranieri: nei prossimi 20 anni il 47% dell’occupazione negli Stati Uniti è a rischio sostituzione. In Italia le stime elaborate da The European House-Ambrosetti indicano che il 14,9% del totale degli occupati, pari a 3,2 milioni, potrebbe perdere il posto di lavoro in un orizzonte temporale di 15 anni. Ma questo epocale cambiamento può non essere un dramma se ci si prepara ai nuovi mestieri. Infatti le analisi sui prossimi cinque anni registrano addirittura un aumento dell’occupazione nel mondo: si creeranno 133 milioni di nuovi posti di lavoro rispetto ai 75 milioni distrutti. Il problema è fare incontrare (con buona pace dei navigator…) queste nuove domande e offerte di lavoro (il World Economic Forum avverte che il 65% dei bambini che frequentano la scuola elementare oggi, da grandi faranno un lavoro che ancora non esiste).
Perciò Saverio Lovergine avverte: «In un contesto in cui appare cruciale per l’Italia l’investimento nel capitale umano d’eccellenza, preoccupa il forte disinvestimento sull’università degli ultimi 10 anni e il primo calo degli immatricolati universitari dall’Unità d’Italia». Mentre «Gli investimenti in capitale umano, istruzione e formazione, e in competenze sono driver necessari per affrontare tali progressi tecnici e ottenere il massimo dalle tecnologie».
Inoltre sottolinea che «Un rilevante problema per il nostro Paese deriva dall’utilizzo, spesso inefficiente, del capitale umano disponibile, un lavoratore su 5 non può utilizzare appieno le proprie potenzialità poiché possiede competenze superiori alle mansioni svolte. L’Italia è l’unico paese del G7 in cui la maggior parte dei laureati è occupata in mansioni di routine».
Tra l’altro l’automazione (consentendo di riguadagnare competitività) sta provocando il back-reshoring, cioè il ritorno indietro rispetto alla delocalizzazione. Il rapporto spiega che «più della metà di un campione di 200 aziende americane, con vendite superiori a un miliardo di dollari, ha già riportato le proprie attività entro i confini nazionali e ciò consentirà di creare tra 2,5 e 5 milioni di posti di lavoro entro il 2020. In Italia si parla di 121 casi registrati di aziende che hanno riportato la produzione in patria dall’inizio della crisi globale, soprattutto nei settori moda (41%), elettronica (25%) e meccanica (16%)». La conclusione è che: «Il progresso tecnico, che sta pervadendo tutti i settori economici (medicina, diritto, finanza, dettaglio, produzione industriale e addirittura il campo delle scoperte scientifiche) non si può fermare. Pertanto in futuro per vincere la competizione economica globale sarà necessario che i lavoratori gareggino, non contro, ma insieme con le macchine».
Però anche i robot invecchiano e la nuova generazione si chiama cobot. «Si stanno affermandola robotica collaborativa e la robotica di servizio, che grazie a nuove tecnologie di apprendimento riescono a memorizzare dati e replicare manovre di lavoratori umani con cui sono messi a stretto contatto, e a riconfigurarsi in automatico», annuncia il rapporto «Il cobot, infatti, è un robot destinato a interagire fisicamente con gli esseri umani in uno spazio condiviso, in sicurezza, senza barriere o gabbie protettive, in quanto è dotato di sofisticati meccanismi basati sul controllo della forza e sul costante monitoraggio di quanto avviene intorno a sé».
La previsione è che nel mondo, entro un triennio, nelle abitazioni entreranno oltre 42 milioni di cobot con compiti di intrattenimento e lavori domestici: la cobotica sarà, dopo la telefonia mobile, the next big thing, la «prossima grande cosa» destinata a entrare nelle nostre vite.