Corriere della Sera, 26 aprile 2019
La banca dati con pochi Dna
Ci sono sessanta persone, nel nostro Paese, che hanno avuto la certezza matematica di essere criminali sfortunati, ammesso che nel loro caso si possa parlare di sfortuna. Sfortunati perché sono stati smascherati come autori di un reato grazie alla nostra Banca dati nazionale che oggi contiene soltanto una piccola, piccolissima parte (6 mila su 160 mila) della montagna di dati che potevano incastrarli. Le tracce biologiche dei 60 sono state prelevate sulla scena di un crimine e schedate come appartenenti a soggetti «ignoti». Ma poi, immesse nella Banca dati, ecco il match: la coincidenza perfetta fra il profilo «ignoto» e il codice genetico di un detenuto, ex detenuto o indiziato di reato che invece un nome e un cognome ce l’ha. È la prova della responsabilità ed è quasi impossibile smontarla.
E adesso i numeri. Sono 15 i laboratori che dal 19 gennaio 2017 stanno creando l’archivio nazionale delle identità biologiche e tutti sono passati dal severissimo giudizio di due enti di controllo: il Cnbbsv, il Comitato della Presidenza del Consiglio, e di Accredia, la società che certifica l’osservazione di regole e garanzie per la scienza, per la sicurezza informatica e per la privacy. Sei sono i laboratori privati, autorizzati all’analisi dei campioni. Otto sono invece quelli delle forze dell’ordine: Ris e Polizia scientifica, autorizzati anche all’immissione dei dati nella Banca. Finora proprio i Ris e la Scientifica hanno inserito circa 13 mila profili ignoti prelevati sulle scene dei delitti. Ma quei profili non servono a nulla senza il confronto con gli altri che consentono di risalire a un nome e un cognome. E qui entra in scena il laboratorio più importante, il quindicesimo: quello centrale di Roma, a Rebibbia.
Lì finiscono tutti i campioni di Dna prelevati con il tampone salivale alla popolazione carceraria, agli ex detenuti e agli indiziati di reato che si è deciso di schedare quando è partita la Banca dati. In tutto 160 mila persone. Il laboratorio centrale, che funziona con circa 50 fra biologi e informatici, ha avuto tutte le carte in regola per partire il 27 dicembre 2017 e da allora ha inserito 6.000 profili di quei 160 mila stabiliti in partenza. Quindi ha lavorato al ritmo di 375 identità genetiche al mese. Il che significa che, a parità di avanzamento, per inserire i 154 mila profili mancanti servirebbero 34 anni.
Renato Biondo
Guardare solo i numeri è fuorviante: abbiamo standard di qualità alti, riusciremo ad accelerare
Le cause di tanta lentezza sono da cercare nell’effetto imbuto che si crea in quell’unico laboratorio romano, gestore di un flusso di dati così grande. Ma anche nella burocrazia, nelle regole rigidissime a cui attenersi per ogni singolo passaggio e, non ultimo, nella mancanza di investimenti per potenziare il sistema.
«Guardare soltanto i numeri è fuorviante, la questione può essere vista anche da angolature diverse» premette Renato Biondo, biologo, dirigente della Polizia di Stato e direttore della Banca dati nazionale del Dna. «Per esempio: farei notare che otto laboratori delle forze dell’ordine hanno inserito in due anni 13 mila profili mentre il laboratorio centrale, da solo, ne ha inseriti 6.000 in sedici mesi. Questo ci dice che non stiamo parlando di lentezza nel lavoro. Ma io – riflette – farei una valutazione più ampia partendo dal 2009, quando il nostro Paese, ultimo in Europa, decise di dotarsi della Banca dati. Fra allora e oggi abbiamo creato il laboratorio centrale che non esisteva, lo abbiamo affidato al Corpo di polizia penitenziaria che non aveva biologi, che quindi si sono dovuti formare da zero. I laboratori accreditati hanno un altissimo standard qualitativo che rende i risultati inattaccabili. Tutto questo richiede tempo, professionalità da perfezionare sempre più, aggiornamenti tecnologici continui. E poi non dimentichiamo che per inserire ogni singolo profilo di Dna è necessario passare dal consenso dell’autorità giudiziaria e anche questo frena i tempi. Ma sono ottimista», considera Biondo, che confida nelle macchinette americane di ultima generazione per avere profili genetici certificati e di cui però le norme italiane non prevedono l’utilizzo.
L’ultima notizia dal fronte della Banca dati è il prossimo collegamento del nostro archivio nazionale con quelli tedesco e austriaco. Fra pochi mesi saremo collegati al milione di profili genetici che i tedeschi hanno inserito nella loro Banca a partire dal 2000. Basteranno 15 minuti per un match mentre servono soltanto pochi secondi se il confronto è tutto italiano. Per dirla con l’ottimismo di Biondo: «Sulla qualità siamo già i migliori. Troveremo il modo di velocizzare tutto e disfarci degli arretrati. Ce la faremo». Ne sanno qualcosa i 60 ladri, rapinatori, stupratori seriali già incastrati.