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Da un quarto di secolo Barbara Broccoli governa l’impero Bond. Sceglie, decide, controlla: ha l’ultima parola su tutto. È stata lei a puntare su Daniel Craig, cinque film fa, tra lo scetticismo generale. Lei a ingaggiare come nuovo arcicattivo Rami Malek, fresco d’Oscar per il suo Freddie Mercury inBohemian Rhapsody e a caldeggiare il ritorno della Bond Girl – è la prima volta che accade – Léa Seydoux. Intervistarla è una missione da spia: venti giorni di trattative in codice, poi la telefonata dalla Giamaica, luogo in cui Ian Fleming scrisse le avventure dell’agente al servizio di sua maestà britannica e dal quale ieri è stato lanciato Bond 25, questo il titolo provvisorio.
Nella storica villa dello scrittore Daniel Craig, il regista Cary Fukunaga, Léa Seydoux, Naomie Harris, in video da New York Rami Malek. Barbara, classe 1960, è la figlia di Albert “Cubby” Broccoli, emigrato calabrese che negli anni 50 fondò a Londra la Eon Production, comprò i diritti sui romanzi e costruì una delle saghe più longeve della storia del cinema. Cresciuta sui set, ha fatto da assistente alla regia al papà, ne ha raccolto l’eredità nel ’95, ora prepara il nuovo film, in sala in Italia l’8 aprile 2020.
Quello in Giamaica per Bond è un ritorno a casa.
«Un luogo fondamentale. Perché qui, in questa casa dove sono ora, Ian Fleming 67 anni fa scrisse Casino Royale e da allora tutti gli altri romanzi. Traeva l’ispirazione dalla Giamaica. Possiamo dire che questa era la sua casa spirituale.
Abbiamo perciò inserito nella storia questo legame. All’inizio Bond è in vacanza qui, si diverte, poi viene chiamato in missione per liberare uno scienziato rapito da un pazzo».
Sono anche i luoghi dello 007 cinematografico.
«Venni con mio padre la prima volta nel ‘61 sul set di Licenza di uccidere, avevo un anno. Il successo di Bond parte qui, a pochi metri c’è la spiaggia da cui è uscita in costume Ursula Andress. Sono tornata che ne avevo tredici per Vivi e lascia morire. Ho tanti ricordi perché mio padre portava me, mia sorella e mio fratelo su tutti i set, il mo album di famiglia è un giro del mondo. Torno per la terza volta, costruirò memorie nuove. Iniziamo a girare domenica e siamo felici del sostegno che tutti ci danno qui».
È vero che rilegge sempre i libri di Fleming?
«Sono una continua fonte di ispirazione, ed è interessante come ogni regista, stavolta Cary Fukunaga, scopra cose diverse.
Daniel e io a volte ci mettiamo a rileggerne alcuni per approfondire i personaggi. Poi cerchiamo una storia che sia capace di interpretare il presente. Ci interroghiamo su cosa preoccupa le persone oggi. C’è molto da impensierirsi. Ci siamo concentrati sulla questione che consideriamo più critica. Lo scoprirete vedendo il film».
Rami Malek ha detto che darà filo da torcere a Craig. Quando
ha deciso che sarebbe stato lui il cattivo?
«Ben prima di Bohemian Rhapsody, mi aveva colpito già in nella serie Mr Robot. È un attore speciale e quando abbiamo scritto il personaggio ci siamo resi subito conto che sarebbe stata la scelta perfetta».
Il sodalizio con Craig?
Sembrava voler lasciare ma invece eccolo di nuovo.
«Ha raggiunto un traguardo altissismo. Ed è davvero triste al pensiero che questo sarà il suo ultimo Bond. Ha fatto una grande impresa. Credo che il pubblico pensi a lui come uno dei migliori se non il miglior Bond di sempre.
Vorrei ricordare l’accoglienza terribile che gli fu riservata all’inizio, lo chiamavano “Blond Bond”, lo hanno preso in giro per un bel po’ ma alla fine ha dimostrato quel che valeva».
Ad affiancarlo torna Léa Seydoux. Le Bond Girl sono cambiate nel tempo...
«Abbiamo in serbo una grande storia per lei. Le donne di Bond sono cambiate com’è cambiato il mondo. Léa incarna una donna moderna.
Daniel ha dato un contributo fontamentale negli ultimi film. In generale anche Hollywood è mutata, dopo il MeToo, in modo secondo me positivo. Ma le Bond Girl sono spesso state forti e interessanti, basta citare le italiane Luciana Paluzzi di Operazione tuono, Caterina Murino di Casino Royale o Monica Bellucci, perfetta in Spectre ».
Tra le location del film, oltre alla Giamaica, Londra, la Norvegia c’è anche Matera.
«Mio dio ma lo ha visto? È uno dei posti più cinematografici del mondo. La cosa bella di questi film è che possiamo portare il pubblico in posti unici. Preparatevi a una sequenza fantastica. Con il vostro paese c’è un legame forte. Mio padre era orgoglioso delle radici italiane, amava cucinare e quando giravamo in Egitto e avemmo problemi con il catering andà al mercato e cucinò una vagonata di spaghetti per tutta la troupe».
È vero che da bambina pensava che Bond esistesse davvero?
«Ho scoperto che non lo era quando avevo sette anni. Mamma e papà ne parlavano sempre, si interrogavano su quel che avrebbe detto, fatto, pensato. È stata una sorpresa scoprire che era un personaggio di finzione. Lo avevo associato a Sean Connery e pensavo che fosse uno zio. Non avrei mai creduto che, poi, dietro a quest’uomo, avrei speso quasi tutta la mia vita».