Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2019
Nucleare, 20 i grandi depositi italiani
In Piemonte è accumulata la maggior quantità di scorie nucleari in termini di radioattività. Tante scorie, e cattive. Nel Lazio è accumulata la maggior quantità di scorie atomiche in termini di volume occupato: non cattivissime, ma in grandi quantità. E ci sono scorie atomiche in tutta l’Italia, in decine e decine di depositi piccolissimi e temporanei (negli ospedali, nelle acciaierie, in centri ricerche e così via) e in più di 20 depositi di dimensioni maggiori dove continuano ad affluire i materiali contaminati. In più di 20 anni l’Italia non è ancora riuscita a darsi il deposito nazionale imposto dalle norme internazionali, deposito nazionale che serve proprio a ridurre il rischio della disseminazione attuale dei rifiuti nucleari. Rifiuti nucleari di ogni forma, dimensione e tipo, nascosti spesso nei luoghi più impensabili: le teste dei parafulmini, i materiali della radioterapia, le radiografie industriali, i rilevatori di fumo la cui lucina rossa lampeggia sui soffitti e così via.
Dove andranno a finire le scorie nucleari? Pronta la lista segreta
Nei giorni scorsi il neonato Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) ha completato l’Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi. Il censimento contiene informazioni su volumi, masse, stato fisico, radioattività e condizioni di stoccaggio dei rifiuti, compresi il combustibile esaurito e le sorgenti dismesse. I dati sono aggiornati a poco più di un anno fa, al 31 dicembre 2017.
Le quattro centrali atomiche
Circa il 95% del combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse non si trova più in Italia. È stato inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato riprocessato. Le centrali chiuse sono Trino Vercellese (Vercelli), Caorso (Piacenza), Garigliano Sessa Aurunca (Caserta) e Latina Borgo Sabotino. Dal riprocessamento è stato prodotto materiale nucleare riutilizzabile e i rifiuti radioattivi prodotti sono stoccati in contenitori che faranno rientro in Italia.
Sedici tonnellate
Oltre al combustibile usato delle centrali che è all’estero, quello che rimane in Italia ammonta oggi a 16 tonnellate e si trova nei depositi Itrec di Trisaia a Rotondella (Matera), Opec 1 della Casaccia (Roma), Ccr di Ispra (Varese), Lena nell’università di Pavia, Triga Tc 1 della Casaccia (Roma).
A Ispra il secondo deposito
per le scorie nucleari Ue
Il combustibile irraggiato è quel rifiuto che, rimosso dal nocciolo di un reattore, può essere considerato una risorsa riutilizzabile o può essere destinato allo smaltimento, se considerato radioattivo. L’attività radioattiva di queste sostanze, espresse in TBq (Terabequerel – 1012 Bequerel), vedono il Piemonte detenerne il valore maggiore (31.137 TBq), seguito da Lombardia (4.278), Basilicata (1.562) e Lazio (42). Non è presente, invece, in Emilia Romagna, Campania e Puglia.
Nel deposito Avogadro, nel vercellese, è presente la maggior parte del combustibile irraggiato (31.137 TBq); seguono il Centro Comune di Ricerche di Ispra Varese (4.271.6 TBq), Itrec (1.562), Opec 1 (34,37), Triga Rc 1 (8,04) e Lena (6).
Dal Lazio alla Puglia
Su un totale di 30.497,3 metri cubi, è il Lazio la Regione con la maggiore quantità di rifiuti, con 9.241 metri cubi, pari al 30,30% del totale. Segue la Lombardia con 5.875 metri cubi (19,26%), il Piemonte (5.101 metri cubi, 16,73%), l’Emilia Romagna (3.211 metri cubi, 10,53%), la Basilicata (3.150 metri cubi, 10,33%), la Campania (2.913 m3, 9,55%) e infine la Puglia con 1.007 metri cubi di rifiuti radioattivi (pari al 3,3%) ora in trasferimento.
Dai parafulmini agli ospedali
Un altro elemento riguarda le sorgenti sigillate dismesse che, benché non più utilizzate, rappresentano ancora un potenziale radiologico, anche se con intensità molto minori rispetto a quelle del combustibile irraggiato. Infatti tali attività vengono misurate i gigabequerel (GBq – 109 Bequerel) cioè un millesimo dei terabequerel con cui si misura il combustibile irraggiato. Con 891.867 GBq di attività, le sorgenti dismesse presenti nel Lazio sono caratterizzate dalla più consistente attività; seguono la Lombardia (3.496 GBq), il Piemonte (2.291) e l’Emilia Romagna (95). Le sorgenti dismesse non sono invece stoccate in Campania, Basilicata e Puglia. Infine sono inseriti nell’inventario anche i materiali e rifiuti radioattivi derivanti da attività di bonifica. Si tratta nella maggior parte dei casi di polveri e scorie di fusione a bassa attività radiologica che sono custodite in 15 siti, 13 in Lombardia e 2 nel Veneto.