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 2019  aprile 25 Giovedì calendario

Il M5s candidato solo nel 7,4% dei Comuni

Al governo del Paese, ma in ritirata nei Comuni. Tra faide interne, restyling della governance in alto mare e moria di candidature, sono soltanto 285 su 3836 i municipi nei quali il Movimento ha scelto di presentarsi alle prossime amministrative. Dopo aver agguantato Avellino sul filo di lana dopo il flop di Ciampi, lo stato maggiore grillino prova in queste ore a recuperare in extremis anche piazze importanti come Potenza, Rovigo e Ascoli Piceno in vista della tornata elettorale del 26 maggio che vedrà 3.668 Comuni nelle regioni a statuto ordinario più altri 123 in Trentino e Friuli, scegliere il nuovo sindaco in contemporanea con le Europee. Ma da qui all’election day in programma tra trenta giorni è davvero impossibile immaginare una remuntada. L’antipasto arriverà già questa domenica, quando andranno al voto 36 comuni siciliani. Ma dopo le Europee, dove si spera di limitare i danni sul piano locale, sarà la volta di 29 comuni sardi chiamati alle urne il 16 giugno in un territorio che alle recenti regionali ha regalato al Movimento grande amarezza. La scadenza per presentare le liste del 26 maggio è fissata per sabato a mezzogiorno. I tempi sono molto stretti e i rischi di un flop a catena molto alti. Ed è perciò ormai inevitabile che i Cinque Stelle non riusciranno a scuotersi da un’impasse che ha del clamoroso.

LE POLITICHE
Primo partito alle Politiche, il Movimento si presenta infatti dopo dieci mesi di governo e dieci punti in meno di consenso soltanto nel 7,4 per cento dei comuni in lizza. È il record negativo dalle amministrative del 2012, quasi una resa annunciata. Che sembra ricalcare alla lettera la strategia di contenimento del danno preannunciata da Luigi Di Maio all’indomani della debacle in Abruzzo. «Dove non siamo pronti dobbiamo smetterla di presentarci», era stato lo sfogo del capo politico. 
Ma quali sono le difficoltà del Movimento? Prendiamo ad esempio la Lombardia, regione dove i grillini presentano il maggior numero di liste (49) ma dove resta ancora in bilico Bergamo. Il candidato designato Fabio Gregorelli ha deciso infatti il 19 aprile di lasciare il M5s a favore delle sirene leghiste del candidato di centrodestra Giacomo Stucchi. E così è scattata per il Movimento una corsa contro il tempo, a caccia delle firme per il sostituto. Nel Settentrione il M5s presenta il simbolo anche in 47 comuni dell’Emilia Romagna e in 41 della Toscana. Ma è il Veneto la regione del Nord che meglio di tutte racconta il dietrofront del Movimento di fronte all’avanzata del Carroccio. Nel feudo del leghista Zaia, sono solo 17 su 321 (contro i 72 del 2014) i municipi nei quali gli stellati hanno deciso di affacciarsi. E in provincia di Belluno sarà scena muta: nei 32 comuni al voto non ci sarà neppure un candidato grillino. 
Colpa dell’ascesa del Carroccio, ma anche dello scarso appeal che esercita ormai tra i grillini la poltrona di sindaco o di consigliere, specie se chiamati a cimentarsi in sfide tutte in salita. Troppa paura di bruciare uno dei due mandati consentiti dalle leggi interne, da spendere magari per incarichi più prestigiosi. Tanto che Rovigo resta ancora in forse, per via di un candidato sindaco trovato soltanto dieci giorni fa. Nelle Isole si riscontrano grandi difficoltà in Sardegna, dove a Cagliari manca ancora uno sfidante dopo l’addio di Zedda, ma anche in Sicilia. Dove il Movimento si presenta in sordina a Bagheria per via delle traversie del sindaco Patrizio Cinque. Che è autosospeso e rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, ma fa campagna elettorale per il suo assessore frattanto candidato a suo erede alla guida del comune.
E al Sud è ancora stallo a Potenza, dove una faida interna ha diviso gli attivisti intorno ai due candidati che si sono divisi in equa misura i favori degli attivisti, e anche ad Ascoli Piceno, dove la lista del candidato prescelto, Massimo Tamburri, attende il sigillo dei vertici ormai da marzo. Lungi dal rafforzare la base, l’avventura di governo del Movimento si è finora rivelata un boomerang. In attesa della tanto attesa riorganizzazione che ancora segna il passo proprio per via dei territori in rivolta contro i vertici.