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 2019  aprile 25 Giovedì calendario

Roma, lo spettro di 1,2 miliardi da trovare

Prima la sentenza della Consulta, e ora il decreto Crescita che riporta i debiti di Roma nella pancia del Comune, invece che trasferirli al Tesoro, rischiano di creare un problema serio al governo. Una grana da 40 miliardi di euro, che incombe sui conti pubblici. Fatta dai debiti accumulati da Roma, 12 miliardi, ed altre grandi città come Napoli e Torino, oltre 2 miliardi a testa, o Reggio Calabria, 1,6 miliardi. E di Foggia, Cosenza, Messina, Savona, Frosinone, Rieti, Pescara, Benevento, Caserta, che hanno conti assai precari. E senza contare quelli dei Comuni sotto i 5 mila abitanti, che verranno fuori solo dal 2021 con la nuova contabilità, e di quelli un po’ più grandi. Finora i sindaci in difficoltà hanno tirato avanti grazie al «predissesto», una sorta di amministrazione controllata per evitare il dissesto vero, cioè un commissariamento. Sono più di 300 i Comuni che hanno concordato con la Corte dei Conti un piano di rimborso dei debiti spalmandoli su un arco di tempo che da 10 è arrivato a 30 anni. Tutto è andato bene fino a febbraio, quando la legge che consentiva tempi così dilatati è stata dichiarata incostituzionale, anche per la violazione dei principi democratici. Più o meno negli stessi giorni scoppiava il caso dei debiti di Roma. La gestione affidata al Commissario, e finanziata con 300 milioni l’anno dallo Stato, entrerebbe in crisi tra due anni, perché non ci sarebbero entrate sufficienti per pagare la rata del debito, anche questo spalmato su 30 anni. L’idea del Movimento 5 Stelle era quella di girare 9 dei 12 miliardi del debito al Tesoro, che avrebbe potuto rinegoziarlo con le banche ed i mercati riducendone il costo, ma la Lega ha detto no. Così il debito torna al Comune, creando uno squilibrio enorme che spinge alla ricerca di una soluzione urgente. E per tutti, come chiede la Lega. La Corte dei Conti, che oggi ha un ruolo cruciale, sarebbe esautorata. Ogni Comune in difficoltà negozierebbe col Tesoro un piano individuale per ripianare il buco in tempi molto più brevi di quelli attuali. Un meccanismo discrezionale. Simile a quello della sanità. Ma che data la mole dei debiti in ballo, ora che non possono più essere nascosti sotto il tappeto o rinviati di generazioni, apre scenari difficili. A Roma, ammortizzare 12 miliardi in 10 anni, contando come dice il decreto sui soliti 300 milioni annui del governo, vuol dire portare la quota di rimborso a carico del Comune da 200 milioni a 1,2 miliardi. Cioè moltiplicare per sei le addizionali Irpef. Oltre a cercare di limitare il passivo con un concordato con i creditori. O sperare che alla fine sia lo Stato, il debito pubblico, ad accollarsi i buchi di Roma e di tutti gli altri Comuni italiani.