La Stampa, 25 aprile 2019
Intervista ad Alba Rohrwacher
«Libero e combattente». Due parole nette per il ritratto senza ombre di «Lovers», il film festival europeo sulle differenze di genere che si è aperto ieri sera a Torino. Due parole che valgono anche per l’atteggiamento della madrina del festival Alba Rohrwacher nei confronti dei rapporti sentimentali. In fondo anche l’amore, come Lovers, «è uno spazio dove si ha la possibilità di resistere liberandosi», dice. Fa una pausa, ma non certo perchè le baleni qualche incertezza sul tema delle geografie sessuali.
L’idea che una famiglia debba essere composta da una mamma e un papà è tornata a circolare con prepotenza, si deve agire in questo clima?
«è un clima preoccupante, in cui si coltiva la cultura della paura e per questo è importante che esistano realtà come Lovers, un festival dove la gente sia vigile e attiva. Quel che è accaduto a Verona è allarmante: è necessario, per questo, far valere i valori in cui ciascuno crede profondamente».
Per questo ha accettato l’invito della direttrice Irene Dionisio che la ha voluta come madrina ?
«Ho osservato Lovers da lontano, io e Irene ci siamo inseguite in questi tre anni, avrei voluto partecipare come ospite già nelle scorse edizioni ma gli impegni di lavoro non me lo hanno permesso. Quindi, questa volta ho pensato che fosse molto bello riuscirci, io conosco bene il cinema di genere. E essere la madrina è un onore”.
Il tema del festival è la “visibilità”: come lo legge?
«Io lego la visibilità a una reciproca responsabilità; fra chi vede e chi viene visto. Per questo il festival è combattente».
Ci sono situazioni, nelle relazioni emotive, che possono coglierla impreparata?
«Credo nell’imprevedibilità, dunque in qualunque cosa mi possa spiazzare e un istante dopo non mi sento più così. Quando si riesce a dirsi come si è e cosa si prova in modo limpido, non c’è niente che mi turbi: la consapevolezza di cosa si ama e di chi si ama mi mette in pace. E riguarda anche me».
Quali radici le ha costruito la sua famiglia?
«Sono radici che mi nutrono. È il nucleo di appartenenza che ho in mente costantemente e che, dopo le guerre e le paci dell’età adolescenziale, ha trovato un equilibrio. Ho una famiglia in cui le cose sono state dette e sono state sentite, con chiarezza: non è una famiglia di tante parole, ma nei sentimenti c’è da sempre la schiettezza. E io me la porto dentro».
È tempo di Cannes, l’anno scorso ha partecipato con il film di Zanasi «Troppa grazia» e con quello di sua sorella Alice «Lazzaro felice», e ora con il mediometraggio di Luca Guadagnino «The Staggering Girl» alla Quinzaine. Come si sente sulla Croisette?
«Mi sento nel tempio del cinema. Con Luca Guadagnino è un bel progetto, la protagonista è Julianne Moore, ma io farò il possibile per esserci. Cannes è un luogo speciale per chi fa questo mestiere, dove il cinema viene sostenuto, protetto e esaltato, anche un piccolo film ha la possibilità di risuonare in tutto il mondo».
Dopo «Il miracolo» di Ammanniti, non avrebbe voglia di essere nel cast di altre serie tv?
«Prima di quel progetto la tv mi faceva una gran paura per i ritmi, la lunga disponibilità che richiede. Poi con Il miracolo, che è stato un lavoro faticoso e bellissimo con quella sceneggiatura così speciale, ho superato la paura. Chissà in futuro, mi piacerebbe pensare a qualche proposta televisiva».
Lei ha un ritmo di lavoro serrato: l’ultimo film girato?
«Ho concluso l’opera prima di Ginevra Elkann Magari, con Riccardo Scamarcio e Celine Sallette: è stata un’esperienza molto bella».
Adesso è già su un altro set, da cui scappa per essere a Lovers: con chi sta lavorando?
«Sono sul set di Nanni Moretti. Non posso dire altro».
Qual è il punto più a favore del cinema italiano oggi?
«Credo l’eterogneità delle storie che il cinema italiano è capace di raccontare. E penso alle voci coraggiose degli autori, dei registi che si stanno imponendo nel panorama cinematografico europeo e mondiale».