«Mi chiamano per farmi le congratulazioni, festeggerò quando arriverà la comunicazione».
È fatalista?
«Certo. Succedono le cose che è giusto che accadano. Non avrei mai immaginato, anni fa, di poter fare l’access time di Rai1, una fascia oraria che è fondamentale per la rete. È come fare una prima serata tutte le sere. Non dico mai: voglio quella cosa. Se non accade ci rimani male. Oggi ho questo? Va bene così. Quando facevo Mezzogiorno in famiglia, quello era il mio Sanremo».
Michele Guardì la chiamò dopo un periodo difficile.
«Ero tornato in Rai dopo essere passato a Mediaset, dove nel 2006 non avevo combinato niente. Fu un grande errore lasciare l’Eredità. Pensavo di poter fare il preserale, di ricominciare a Milano, ma per due anni non ho fatto niente. Non lo dico retoricamente, ma è utile anche sbagliare. Io ho capito tante cose».
Per esempio?
«Che sono legato alla Rai. Pensi che il format dell’Eredità l’ho portato io in viale Mazzini. All’epoca il direttore era Fabrizio Del Noce, avevamo un bel rapporto, avevo fatto Quiz show, Domenica in. Mi chiamò: “Devi trovare il nuovo preserale di Rai1 per contrastare Passaparola. Vai in tutte le società e individualo”».
Come si sceglie un format?
«Io sto sempre dalla parte del pubblico, sono prima di tutto spettatore. Ogni volta mi chiedevo: questo lo guarderei? Non trovavo niente. A Milano incontro Giorgio Gori che era stato mio direttore a Italia 1 e aveva fondato la società Magnolia. Mi fa: c’è un quiz argentino, con un conduttore e dieci concorrenti intorno, è uno show strano. Era L’eredità».
Si è messo in gioco a “Tale e quale”, con Fabrizio Frizzi. Lo sa che molti vi paragonano?
«È stato bellissimo, con Fabrizio ci siamo divertiti, ci siamo buttati senza vergogna. Siamo simili perché per carattere siamo stati al nostro posto, senza sgomitare. Grazie al varietà di Carlo Conti abbiamo ritrovato il pubblico».
I suoi modelli?
«Ho guardato tanta televisione, Corrado, Baudo. In gita a Roma con la scuola scattai la foto ricordo al cavallo della Rai di viale Mazzini. Le ho detto tutto».
Com’era da ragazzino?
«Timidissimo. Accompagnai un amico a fare un provino in una radio privata, fecero leggere un testo anche a me. La mia voce li colpì e cominciai. Sono ancora timido, con un microfono davanti mi trasformo. Come il clown che si toglie la maschera, nel privato ho le mie malinconie. Meno male che mia moglie Giovanna è un’entusiasta».
I suoi genitori che pensavano?
«Due santi. Sono cresciuto a Verona, papà era istruttore di equitazione, mamma casalinga.
Sono stati generosi con me, mi hanno lasciato libero ma ci tenevano che prendessi il diploma. Alla maturità ho promesso ai professori: datemi 36 non farò mai il geometra. Pensi che per vedere Baudo che conduceva Un milione al secondo venivo a Roma e tornavo a Verona. Mi mettevo seduto tra il pubblico».
Ha sempre creduto in se stesso?
«Devi combattere per realizzare il tuo sogno, sognare cento per realizzare cinquanta. Ho iniziato alla radio, mettevo i dischi. Poi ho aspettato Vittorio Salvetti sei ore in albergo».
In realtà era uno stalker.
«Noo. Volevo che qualcuno mi desse una possibilità.Fu gentile, lo colpì la mia perseveranza. Mi mandò da Claudio Cecchetto a Radio Deejay».
Milano, fine anni 80: che ricordi ha?
«Anni formidabili. Vivevo in un monolocale, facevo tanti sacrifici. Lavoravo con Fiorello, Jovanotti, Gerry Scotti, Sandy Marton. Nell’88 mi proposero di fare 1 2 3 Jovanotti: vestito color fucsia, dicevo: “Amici di Italia 1, ecco a voi Jovanotti”. Alle due del pomeriggio ero una star».
A chi era legato?
«Fiorello occupa un posto speciale, è la persona che mi fa più ridere, lo conosco da trent’anni. Quando è arrivato a Milano era un selvaggio, avevamo tutti e due il sogno della televisione. Facevamo DeeJay Television. Non ci aveva invitato nessuno ai Telegatti. Affittiamo gli smoking, compro i biglietti per il Teatro Nazionale , i primi posti più vicini ai vip. Due bambini a Disneyland. La gente urlava, De Niro sorrideva a tutti e salutava. I nostri attori non salutavano nessuno».
Morale?
«I grandi sono semplici».
Entra tutte le sere nelle case: mai avuto voglia di cambiare?
«Scherza? Si crea un rapporto speciale col pubblico. Se ogni sera all’ora di cena tra noi e Canale 5 ci sono dieci milioni di spettatori davanti alla tv, una ragione ci sarà. Mi fa sorridere chi dice che la tv generalista è morta».
I quiz raccontano l’Italia: che idea si è fatto dei concorrenti?
«La gente più strana l’ho incontrata ai quiz, i concorrenti sono un mondo da scoprire. Mi fermano chirurghi, ingegneri che chiedono di partecipare. C’è chi è in cerca di visibilità, chi tenta la fortuna. A I soliti ignoti non voglio mai incontrare prima il concorrente, così improvvisiamo».
La soddisfazione più grande?
«Le telefonate di Johnny Dorelli, di Renzo Arbore, l’amicizia con Pippo Baudo: hanno fatto la storia. Meritano rispetto. Oggi in tv si applaude a tutti».