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 2019  aprile 25 Giovedì calendario

I kamikaze miliardari

C’erano due ricchissimi e “rispettabili” imprenditori tra i kamikaze che hanno massacrato a Pasqua più di 300 persone in tre alberghi e tre chiese dello Sri Lanka. Uno di loro, Inshaf Ahamed Ibrahim, 33 anni, aveva una laurea presa in Inghilterra e un dottorato in Australia. Nella sua fabbrica di rame Colossus copper a Wellampitiya, nordest di Colombo, sono stati fabbricati i giubbotti esplosivi usati da 9 (non 7 come si pensava) terroristi suicidi tra i quali una donna di nome Fatima. Attorno a lei resta ancora un po’ di mistero – come sull’identità del nono attentatore – compreso il fatto che fosse incinta e si sia fatta saltare in aria nel quartiere di Dematagoda alla periferia di Colombo assieme a tre bambini maschi per uccidere i 3 militari giunti ad arrestarla la sera delle stragi.
Alcune fonti sostengono che Inshaf fosse sposato con la figlia di un facoltoso gioielliere ignara della seconda vita del marito che le aveva detto di essere partito per un giro d’affari in Africa. Secondo questa versione sarebbe Ilham, 31 anni, il marito di Fatima, nonché il padre dei 4 bambini, compreso quello ancora in grembo, saltati in aria con la madre nella loro bella casa di Dematagoda ridotta in macerie dalla stessa miscela di Triacetone perossido usata per i massacri di Pasqua: una sostanza etichettata come la “Madre di Satana” dal gruppo terrorista di Al Qaeda. Inshaf e Ilham erano figli di un influente politico delle province orientali dell’isola a maggioranza musulmana, il magnate del mercato mondiale di spezie Yoonus Ibrahim, in stretti rapporti con membri dell’opposizione compreso l’ex presidente Mahindra Rajapaksa. I suoi legami stavolta non sono bastati a evitargli l’arresto per il sospetto di aver aiutato i due figli – che vivevano a Dematagoda nella casa di sua proprietà – a pianificare le missioni suicide. Anche Ilham ha frequentato le migliori scuole e come il fratello si è convertito al jihadismo, al punto da farsi saltare in aria dentro la sala delle colazioni dell’hotel Shangrilà uccidendo decine di clienti.
Al suo fianco c’era l’altro ricco imprenditore, Insan Seelavan, a sua volta come Inshaf proprietario di una industria di rame tra Avissawella e Wellampitiya con oltre 70 dipendenti (9 arrestati forse per aver prefabbricato l’esplosivo) e due negozi di ferramenta, oltre a una Bmw e una casa di lusso a Dematagoda. Anche lui avrebbe lasciato la moglie, una sorella o una figlia (informazioni ancora confuse) per andare una notte allo Shangrilà e farsi esplodere al mattino con Ilham nella sala delle colazioni, mentre l’altro fratello compiva la strage nella caffetteria del vicino hotel Cinnamon. Questi tre militanti del National Thowheed Jamath ritenuto responsabile delle stragi non sono i soli in questo gruppo associato allo Stato islamico ad avere alle spalle famiglie benestanti. Ma sarebbero stati loro e altri ignoti donatori ad auto- finanziare la catena di attentati a Colombo, solo ieri tornata a una quasi normalità con il coprifuoco posticipato alle 22. La loro storia sembra calzare con quella di altri militanti associati idealmente all’Isis che potrebbe averli istruiti o esaltati sui propri siti di propaganda per spingere jihadisti di varie parti del mondo a emularli. Molti ricorderanno la famiglia di indonesiani che si fece saltare in tre chiese di Surabaya un anno fa. Il viceministro della Difesa Ruwan Wijewardene ha confermato che tra i kamikaze c’era anche una donna. Ma non ha specificato il nome, né ha detto di chi fosse moglie Fatima, lasciando aperto il dubbio sulla dinamica del raid delle forze speciali nella casa di Dematagoda costata la vita ai soldati.
Sull’efficacia delle misure di sicurezza, e soprattutto sulle mancate indagini in base ai dettagliati rapporti dei servizi segreti indiani ripetuti per ben tre volte anche a poche ore dalle stragi, stanno per cadere ora le teste del ministro della Difesa e del capo della polizia. Il presidente della Repubblica Maithripala Sirisena ieri li ha invitati a dimettersi, e un loro rifiuto potrebbe aggravare la già precaria stabilità del governo diviso dai conflitti tra lo stesso presidente e il primo ministro, tenuto all’oscuro delle segnalazioni indiane. Sulla base dell’interrogatorio di un leader jihadista arrestato in India indicavano con esattezza gli obiettivi delle stragi con tanto di nomi, indirizzi e perfino numeri di telefono dei membri del Ntj. È grazie a questi dati che si sta cercando solo ora di smantellare ora l’intera organizzazione. Almeno altri nove potenziali suicidi secondo le stesse fonti sarebbero pronti a colpire ancora.