Corriere della Sera, 24 aprile 2019
Così le antiche stazioni aiutano il meteo
L’Organizzazione meteorologica mondiale dell’Onu ha istituito un elenco che raccoglie gli osservatori meteo che possiedono una raccolta continuativa di dati di almeno 100 anni. L’Italia è presente con sei stazioni (solo gli Stati Uniti ne hanno di più: 7), tra le quali l’Osservatorio del Collegio romano (nella foto), più altre tre in attesa di essere accolte nella lista
Non si può capire il presente senza conoscere il passato, non si possono fare previsioni sul futuro del clima senza avere alle spalle secoli di minuziose misurazioni. «Gli osservatori meteorologici centenari sono le biblioteche del clima», dice Luigi Iafrate, referente per l’Osservatorio meteo del Collegio romano, che registra ininterrottamente dal 1782 i dati climatici a Roma. Come la biblioteca del Nome della rosa conservava incunaboli di tutto il sapere antico, gli osservatori meteo storici sono l’ossatura delle scienze climatiche e luoghi preziosi di cultura scientifica.
In Italia sei osservatori sono stati inseriti nell’elenco delle stazioni centenarie dall’Organizzazione meteorologica mondiale, l’agenzia dell’Onu che si occupa di clima e tempo atmosferico. Due si trovano a Roma, il Collegio romano e l’Osservatorio di Vigna di Valle dell’Aeronautica militare, due nelle Marche (gli osservatori Serpieri di Urbino e Valerio di Pesaro), il Collegio Carlo Alberto di Moncalieri (Torino) e l’Osservatorio Ximeniano di Firenze. Altri tre sono in lista d’attesa: l’Osservatorio Raffaelli di Casarza Ligure (Genova), il San Marcellino dell’Università Federico II di Napoli e il Ferrajolo di Taranto.
Il nostro Paese, insieme a Svezia, Austria, Repubblica Ceca e Germania, ha gli osservatori più antichi del mondo. «Oltre a quelli citati, ci sono altre realtà in Italia che hanno più di due secoli di misurazioni. Alcune hanno iniziato nel XVIII secolo», aggiunge Iafrate. Gli osservatori sono anche centri viventi di storia della scienza, alcuni conservano strumenti storici del Settecento.
«I primi furono fondati in ambienti ecclesiastici, per decenni religiosi e parroci hanno effettuato misurazioni meteo», dice Daniele Cat Berro, della Società meteorologica italiana, che va a ricercare nelle vecchie parrocchie sulle Alpi piemontesi i registri ingialliti delle rilevazioni, importanti soprattutto per le misurazioni delle precipitazioni nevose. «L’importanza degli osservatori storici è la continuità dei rilievi nel tempo e sempre nello stesso posto con parametri costanti, omogenei e confrontabili», spiega Andrea Cantile, presidente dell’Osservatorio Ximeniano e docente di cartografia storica all’Università di Firenze. «Ogni giorno alla stessa ora si misurano temperatura, umidità, pressione, precipitazioni, vento, insolazione. Allo Ximeniano viene fatto dal 1756 e in modo ininterrotto dal 1812».
Oggi i dati meteo vengono registrati in automatico e digitalizzati, ma permane una dimensione umana per raccogliere le misure con strumenti tradizionali. Chi raccoglie a mano dati meteo è un po’ come il guardiano del faro che accendeva ogni sera il segnale luminoso, anche se tutti i fari nel mondo ormai sono automatici. «Mantenere in attività le stazioni manuali è una sfida: ci sono pochi fondi e manca una visione unitaria nazionale. Ci si affida agli appassionati», prosegue Cat Berro, in servizio all’Osservatorio del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri. «Non c’è un impegno per mantenere gli osservatori centenari e proteggerli, come per esempio in Svizzera. Il riconoscimento Onu è una medaglia dal grande significato».
Di queste difficoltà, del rischio di disperdere un patrimonio storico e scientifico di valore, si è parlato a un convegno dello scorso marzo a Roma. «I dati sono conservati anche negli annali e nel bollettino meteo giornaliero», illustra Iafrate. «È una miniera di rilevamenti raccolti su schede in 3.600 faldoni che rappresentano 850 serie meteo nazionali, di cui una trentina continuative da metà Ottocento. Sono digitalizzati solo per il 20-25%, va completata l’opera: se c’è un finanziatore privato, si faccia avanti».