la Repubblica, 24 aprile 2019
Che fine hanno fatto gli alberi abbattuti dal maltempo
Scenografie teatrali e violini, sculture e gioielli, cabine da spiaggia e scatole per accessori di lusso, attrezzi per lo sport e barche, profumi e perfino farina per il pane: il legno delle foreste abbattute sulle Alpi del Nordest dalla tempesta Vaia nei giorni tra il 27 e il 29 ottobre dell’anno scorso lentamente ritorna a vivere e conferma la generosità non meritata che la natura riserva all’uomo. A sei mesi da quello che botanici e climatologi considerano «il più grave evento di disturbo delle foreste mai registrato in Italia», grazie a cultura, arte e business gli alberi rasi al suolo da raffiche di vento fino a 200 km all’ora diventano il simbolo di una rinascita impegnativa, fondata su un’attenzione nuova per un ambiente allo stremo. Icona di questo impegno, dal 10 maggio, sarà l’allestimento dell’architetto Stefano Boeri per Le Troiane, messo in scena dalla regista Muriel Mayette-Holtz nel Teatro greco di Siracusa. La tragedia di Euripide si rinnoverà fra tronchi divelti nella Carnia friulana e trasformati in colonne lignee sospese sul Mediterraneo, sopra un letto di piante morte. «Per una volta – dice Boeri – in scena andrà il paesaggio che non abbiamo saputo proteggere dalla forza degli elementi naturali.
Foreste secolari avranno ancora il diritto di essere presenti davanti ad un doppio pubblico: quello degli esseri umani sulle gradinate e quello degli alberi dietro il palco. Due tragedie, da Euripide a Vaia, che non smettono di ricordarci la follia degli uomini, mettendoci di fronte alle nostre responsabilità di distruttori». La sensazione di essere rimasti orfani, dopo la perdita di 42 milioni di piante che crescevano su 43mila ettari di boschi, non ispira però solo artisti e attivisti della sostenibilità. Le foreste travolte erano un tesoro per il clima, ma pure per l’economia. Dal “legno di tempesta”, terminati il recupero e la stagionatura, promettono di risorgere laboratori artigiani e aziende, quartieri urbani e centrali energetiche verdi. Fra tre anni saranno pronti gli “alberi di risonanza” della foresta di Paneveggio, in Trentino, famosi per aver fornito i violini ad Antonio Stradivari. Abeti bianchi di 250 anni, sradicati da un tornado senza precedenti scatenato sul riscaldamento dell’acqua marina, permetteranno la ripresa della liuteria da orchestra più raffinata del pianeta. Ad Udine lo chef Stefano Basello si è ricordato invece che gli alberi, quando in montagna si viveva con la fame, venivano mangiati. Assieme al laboratorio milanese di erboristeria di Valeria Margherita Mosca, ricava farina dalla corteccia di abeti bianchi e pecci, di tigli e frassini, sfornando ogni mattina fragranti “pagnotte di sussistenza”. «Ero sconvolto dalla devastazione tra Sutrio e Sappada – dice – così mi sono ricordato di una tradizione che univa la terra d’alta quota a pastori e contadini. Con il pane di albero il profumo del bosco ritorna nell’aria e noi possiamo sentire il sapore delle piante che abbiamo abbandonato». Da 8,6 milioni di metri cubi di legname abbattuto nascono però anche opere d’arte, case-clima e prefabbricati, asili green e protezioni stradali di nuova generazione, gioielli ecologici e cosmetici a base di olii essenziali, concimi e vasi da sotterrare nelle valli distrutte per consentire ad oltre 1 milione di semi di generare le future foreste anti-valanghe. Il riaperto museo a cielo aperto di Arte Sella, in Valsugana, il 5 maggio presenterà il restauro delle opere di Kengo Kuma e Michele De Lucchi. «Nell’orto botanico di Padova – dice il presidente Giacomo Bianchi – si può già vedere l’albero vivo costruito con gli alberi morti, sospeso sull’acqua per ricordarci che è stato lo sconvolgimento del mare surriscaldato a lanciare un tornado contro le montagne».
Impossibile dimenticare, ma oltre lo shock resta la realtà di un recupero ben lontano dall’essere realizzato secondo le promesse di politici e amministratori. Se in Alto Adige gli alberi raccolti sfiorano il 50%, in Trentino si è al 16%, in Friuli poco sopra il 20, in Veneto non oltre il 10%. «La colpa – dice Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness – non è del crollo dei prezzi per eccesso d’offerta.
Sotto accusa ci sono inefficienza e disorganizzazione, l’assenza di un’unica cabina di regia per mettere sul mercato una massa legnosa mai vista. Nel Nordest italiano la segheria più grande lavora 38 mila metri cubi di legno all’anno, in Austria, Germania e Repubblica Ceca le imprese arrivano a 2 milioni. Da 3 metri cubi non si ricavano più di 0,1 metri cubi di legno d’alto pregio. Se non si accelera il lavoro assisteremo ad un crack finanziario e a un altro disastro ambientale». Con caldo ed estate, l’incubo è il bostrico. Il coleottero, attaccati gli alberi morti, assalta quelli vivi, distruggendo anche le foreste rimaste in piedi.
Terminato giugno, non si recupererà più legno pregiato, con luglio i tronchi diventeranno imballaggi, con fine anno solo cippato per centrali a biomassa. Dopo Le Troiane, l’ultima tragedia: dalla mobilitazione popolare per far rinascere le foreste perdute, alla grande svendita politica dei boschi come sempre ignorati.