La Stampa, 24 aprile 2019
L’ingegnere che sforna le baguette per l’Eliseo
Giusto un po’ di farina, acqua, sale e un pizzico di lievito. La baguette è solo questo. Ma per i francesi, in realtà, è una cosa seria. E per un panettiere conquistare il Grand Prix de la baguette, assegnato d’aprile a Parigi ogni anno, è una cosa serissima. Significa diventare per un anno fornitore esclusivo del Presidente e della sua ristretta cerchia all’Eliseo. «Lì per lì mi sono fatto prendere dal panico», ammette Fabrice Leroy, il vincitore del 2019. L’ha saputo meno di una settimana fa.
Eccolo nella sua «boulangerie», un panificio qualunque in un quartiere qualunque, dietro a piazza Dausmenil. Era uno dei 228 panettieri parigini in lizza. Una commissione composta di esperti e di cittadini anonimi della capitale le ha provate tutte «alla cieca» e ha scelto proprio la sua, la baguette di Fabrice. Da allora c’è l’assedio in panetteria, perfino turisti asiatici che chissà come l’avranno saputo. «Ho dovuto assumere una nuova persona che mi aiutasse qui al forno e comprare nuovi macchinari. Siamo già passati da 200 a 1200 baguette al giorno».
Fabrice ce l’ha fatta perché accanto a lui c’è sempre Paola. «È mia moglie, architetta. Italiana, di Milano, è venuta a Parigi grazie a Erasmus. Ci siamo conosciuti, perché lavoravamo entrambi alla Sncf, le Ferrovie francesi». Sull’insegna all’esterno ci sono i loro due cognomi, Leroy Monti. «È stata lei a incoraggiarmi, perché m’inventassi una nuova vita professionale». Fabrice, 42 anni, originario della regione di Parigi, nella sua vita precedente era un ingegnere della Sncf. Ha lavorato sul Tgv Est e poi ha avuto nella capitale e dintorni la responsabilità dell’accesso alle stazioni per le persone a mobilità ridotta. «Mi piaceva il mio lavoro ma volevo affrontare una nuova sfida. Ho sempre avuto la passione del pane». Quattro anni fa si è licenziato ed è andato a Rouen a studiare la panificazione. Due anni fa ha aperto la sua panetteria a Parigi. Paola è architetta in una filiale di Sncf. Stasera non è ancora arrivata dal lavoro «ma mi aiuta nel panificio tutti i giorni. Questa vittoria la devo a lei».
Incredibile come il Grand Prix risponda ogni volta a certi input dell’attualità. L’anno scorso, in pieno dibattito sugli immigrati, lo vinse il figlio di due tunisini, Mahmoud M’seddi, diventato ormai ambasciatore planetario della baguette. Quest’anno Emmanuel Macron ripete ai francesi che devono liberarsi della mania del posto fisso e li spinge a prendere il loro destino nelle proprie mani. Ed ecco Fabrice, riconvertito a quarant’anni passati. Ammette che alle presidenziali ha votato Macron, «anche perché contro Marine Le Pen, al secondo turno, chi volevi votare». Ma non ha niente contro i gilet gialli «che ogni sabato passano in gran numero nella mia panetteria». La sua baguette «tradizionale», fra l’altro, costerà ancora un euro e 15 centesimi, il suo prezzo abituale, decisamente ragionevole, che non sarà ritoccato, malgrado la fama improvvisa.
Il nome baguette è nato all’inizio del Novecento. A Parigi se ne sfornano ogni giorno più di un milione. L’associazione dei panettieri francesi ha appena chiesto che sia riconosciuta come patrimonio dell’Unesco. «Per i francesi – sottolinea Fabrice – ha pure un valore religioso». Il segreto di una baguette perfetta? «Bisogna mettere insieme farina e acqua e lasciare in autolisi almeno per un’ora. In psicanalisi è il suicidio, l’autodistruzione. Nel caso del pane, invece, fa solo del bene: rappresenta una prima fermentazione naturale, che riduce dopo il tempo dell’impasto». Fabrice ha iniziato a infornare stamani alle quattro e mezzo, prima dell’alba. Così stanco ormai, ma decisamente felice.