il Giornale, 24 aprile 2019
L’università di Nagasaki non assume professori che fumano
«Thank you for not smoking» recita ancora, in quell’inglese accessibile a tutto il globo, se si tratta di queste cinque parole, l’invito molto cortese a non accendere sigarette. Dal 2005, in Italia, il divieto (più o meno cortese) non è necessario: la legge Sirchia ha mutato in una norma (passibile di sanzione, dunque, per il fumatore incallito o distratto che inforchi sigarette e accendino) l’esortazione a non fumare nei luoghi pubblici. Nel nostro Paese, ci siamo abituati da quattordici anni. Ma fin dove si sia spinto il divieto d’accesso ai fumatori, in Giappone, non era immaginabile.
È l’università di Nagasaki a spiazzare con un provvedimento unico al mondo: non assumerà docenti e insegnanti che fumano. Parola di un portavoce dell’ateneo, in un nuovo passo della campagna anti-fumo a ridosso delle Olimpiadi 2020. Non ancora banditi i fumatori disposti al «pentimento» e a uno stile di vita lontano dalla nicotina: ma fuori dalla porta (e impossibilitati a ottenere un contratto) coloro che perseverano nel vizio. Potranno, insomma, lavorare per l’università i candidati che s’impegneranno a rinunciare alle sigarette, e solo quelli; e l’istituto ha promosso svariate altre misure che viaggiano su queste frequenze. Per esempio, sussistono anche il divieto di fumare nei campus, e addirittura l’apertura di cliniche per quanti non riescono a smettere. «Abbiamo concluso che i fumatori non sono adatti al settore dell’istruzione», ha spiegato il portavoce, evidenziando come esperti legali siano stati consultati, e come le nuove regole non violino le leggi sulle discriminazioni. Una campagna di sensibilizzazione, oltre e al di là del divieto: quasi un batterio da debellare alla radice, la passione per la sigaretta. Provvedimenti assunti, come detto, dopo che la città di Tokyo ha approvato nuove e ferree regole anti-fumo in vista dei Giochi estivi del 2020. E pensare che il Giappone era considerato una specie di isola felice per i fumatori, al punto che era consentito fumare anche in ristoranti e bar. Cosa non più permessa nei punti di ristoro della capitale, benché i locali possano creare aree riservate ai fumatori ove, comunque, ai clienti è impedito bere o mangiare. Il fumo è completamente vietato nelle strutture scolastiche, che vanno dagli asili alle scuole superiori: sono eccettuate piccole aree fuori dalle università e gli ospedali. L’Organizzazione mondiale della sanità ha dato al Giappone il voto più basso sulle misure per evitare il fumo passivo; un voto inferiore a quello della Cina o Corea del Sud. Ma l’uso di tabacco in Giappone risulta in calo, in piena linea con i trend globali.
E in quali altre fette del pianeta vigono divieti severi sul fumo? In Buthan (piccolo Stato di 650mila abitanti, che sorge nella catena dell’Himalaya, tra l’India e il Tibet), il tabacco è vietato tout-court. Come una sostanza stupefacente. L’Islanda, quanto a divieto di fumo nei luoghi pubblici (2007), trovò terreno fertilissimo: addirittura l’82% degli islandesi, secondo un rilievo effettuato quell’anno, era favorevole al divieto, contro il 18% dei cittadini contrari. In Brasile, la vendita di sigarette è vietata ai minorenni e ne è proibita la pubblicità; inoltre il governo dispensa periodicamente campagne di sensibilizzazione contro gli effetti del fumo (in tutto e per tutto simili a quelle in vigore in Italia dal 2015: cioè, con l’utilizzo di foto che ritraggono arti amputati e altri effetti scioccanti del fumo). Stessa legge in Nuova Zelanda, dove ai minori non è concesso fumare; qui, si registrano norme contro l’abuso di tabacco già dal 1876 e, a partire dal 2011, il divieto di fumo nei luoghi pubblici non si limita a quelli chiusi: via le sigarette anche alle zone all’aperto attorno alle scuole, agli stadi e ad alcuni campus universitari.