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 2019  aprile 20 Sabato calendario

Rivolta contro la protezione inglese degli animali che raccomanda la carne nella loro dieta

Nel tardo autunno scorso, quando l’isterismo Brexit non era ancora pienamente maturato e i giornali britannici avevano ancora spazio per altro, c’è stata una breve tempesta mediatica riguardo a una «raccomandazione» della Rspca (la Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, la «protezione animali») secondo la quale chi obbligava il proprio gatto a seguire una dieta vegana poteva star infrangendo la legge e rischiava addirittura di andare in galera per l’abuso commesso.Un portavoce dell’associazione ha infatti ricordato che, a differenza dei cani (abbastanza onnivori) i gatti sono dei carnivori obbligati e hanno bisogno di mangiare frequentemente la carne per restare in salute. Ha citato il codice criminale inglese secondo il quale i padroni dei pets debbano «intraprendere ogni azione necessaria per assicurare il benessere dei loro animali», ricordando che «ciò comprende fornirgli una dieta adeguata» e che nel caso di abusi gravi, si rischiava una multa pesante o perfino una sentenza penale per maltrattamento.
Il boom vegano pare ormai in declino, forse perché la grande maggioranza (il 70% secondo lo Humane Research Council americano) si stufa dopo un po’ e torna a mangiare la carne. L’episodio inglese e la reazione che ha provocato mostrano però punti di similitudine con un altro fenomeno attuale, il movimento No-Vax, sia nella volontà di respingere le «verità scientifiche» sia nella scelta delle argomentazioni. Il Tweet storm vegano in reazione al consiglio della protezione animali verteva fondamentalmente su tre temi: «Sono la sua mamma e so io cosa fa bene al mio Fuffi», «Che c’importa di cosa dicono quelle mummie di scienziati che ci rimpinzano di tanti veleni» e «Le loro ricerche sono pagate dai signori della Kitekat».
Rispecchiano da vicino il ragionamento No-Vax. Questo è interessante perché, oltre al comune rifiuto dei risultati scientifici convenzionali, qui si annida un altro punto di condivisione tra il veganismo e il movimento anti-vaccini. Almeno nel mondo anglosassone, entrambi i fenomeni sono molto marcatamente femminili. Secondo i dati demografici, l’80% dei vegani americani sono piuttosto vegane. Percentuali simili, sempre con un margine ampio, sembrerebbero riguardare il fenomeno No-Vax, anche se quest’ultimo è più recente e meno studiato. Una ricerca apparsa su Information, Communication & Society e condotta da due studiosi australiani, Naomi Smith e Tim Graham (basata su un’analisi di due anni di post sulle pagine Facebook No-Vax più frequentate) dimostrerebbe, secondo gli autori, che il movimento sia highly feminised e che: «la vasta maggioranza dei partecipanti sono donne».
In tutto l’Occidente, le donne hanno mediamente una preparazione scolastica migliore di quella degli uomini. Negli Usa, dove la tendenza è arrivata con ritardo, le donne che oggi prendono una laurea universitaria sono il 38% rispetto al 33% degli uomini. Si sa che le donne leggono di più e comprano più libri. C’è chi attribuisce l’attrazione per le eresie mediche a un retaggio storico: le donne sono state tradizionalmente le «garanti» del benessere della salute della famiglia. Sarebbe dunque «culturalmente» coerente che si preoccupino maggiormente per i temi sanitari. L’ipotesi, con la sua visione retrograda del ruolo femminile, non è però universalmente gradita.