Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  aprile 20 Sabato calendario

Da Bergamo all’Africa con un test sulla malaria

La sua Africa. «L’acqua corrente va e viene, internet prende solo in un punto e i bambini giocano all’aperto senza telefoni né computer». Come faceva lei nel suo paese d’origine, Roncobello, tra le montagne bergamasche della Val Brembana. Da lì, Francesca Milesi, 26 anni, laureata in Ingegneria delle telecomunicazioni e dottoranda in Fisica, è partita alla volta del Camerun con un nuovo test per la malaria. Un rivoluzionario sistema di diagnosi «per sperimentare sul campo qualcosa che sino a due anni e mezzo fa era solo calcoli e geometrie».Dalla scorsa domenica Milesi si trova in un villaggio di Mbalmayo, a 50 chilometri a sud di Yaoundé, la capitale del Camerun. Con 35 gradi di temperatura e tre compagni di viaggio e di ricerche: Riccardo Bertacco, professore ordinario di Fisica al Politecnico di Milano e direttore del Polifab, il centro per la micro e nano fabbricazione del Politecnico, e altri due dottorandi di Milano, Marco Giacometti e Lorenzo Coppadoro. Insieme in Africa per sperimentare un sistema per diagnosticare sul campo la malaria, una malattia che, ha spiegato la ricercatrice bergamasca, «è ancora grave e estremamente diffusa».
Il progetto, che si è tramutato in una startup, si chiama Tmek, un’abbreviazione del termine africano tid mekii, che significa malaria. E si basa su un chip brevettato nel 2017 dal Politecnico grazie al quale, un anno dopo, il progetto Tmek è stato tra i vincitori del premio Switch 2 Product, nato dalla collaborazione tra il Politecnico di Milano e Deloitte, azienda leader nel settore dei servizi professionali alle imprese.
Il team racconterà le sue scoperte sui social network e lavorerà insieme con il personale dell’ospedale locale, il Saint Luc. «Come volontario per il servizio civile internazionale ho vissuto qui tra il 1994 e il 1996», ha detto Bertacco al Corriere di Bergamo. «Ogni mattina una lunga coda di persone aspettava fuori dal dispensario. Erano lì per il prelievo del sangue, per capire se avevano la malaria».
Il docente del Politecnico, nel tempo, ha svolto studi approfonditi per «mettere a punto, con le tecniche più avanzate, una risposta». Che i quattro ricercatori hanno trovato nel test diagnostico rapido, per dare «risposte veloci, in 5 o 10 minuti, senza falsi positivi e capaci di mostrare il livello dell’infezione, e senza la presenza di personale tecnico al microscopio». I dati parlano di 216 milioni di nuovi casi e 445 mila decessi causati dalla malaria, per la maggior parte in Africa, solo nel 2016. «Nei 15 giorni in cui vivremo qui», hanno aggiunto i ricercatori, «lo testeremo gratuitamente su un centinaio di pazienti, confrontando i risultati con quelli ottenuti da altri sistemi già in uso. Grazie all’ospedale Luigi Sacco di Milano abbiamo già fatto i primi test in Italia, ma la casistica non era sufficiente. Da qui la necessità di provarlo in una zona endemica».
«La sfida è entusiasmante», ha sottolineato la bergamasca Milesi. La speranza, se il test dei quattro ricercatori italiani dovesse avere riscontri positivi, è «trovare finanziatori che credano nell’idea, per passare alla cosiddetta fase di ingegnerizzazione di scala del prodotto». Che, in caso di investimenti, in Italia potrebbe costare circa 13 euro.