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 2019  aprile 23 Martedì calendario

Intervista a Enzo Gragnaniello: «I trapper? Pure il mio salumiere allora sa cantare»

Enzo Gragnaniello, cantautore, è nato a Napoli.

“La mia musica è biologica, coltivata in modo naturale, senza concimi chimici. E se viene un poco storta non me ne fotto”. Così descrive la propria musica Enzo Gragnaniello, che il 26 aprile prossimo torna con un nuovo album, Lo chiamavano vient’ ‘e terra (Arealive, 2019). “Era il nome con cui mi chiamavano da bambino – spiega il cantautore napoletano – quando per i vicoli di Napoli, con i miei amici, correvamo come il vento buttando a terra tutto ciò che trovavano sulla nostra strada”. La canzone che dà il nome al disco è la più autobiografica che Gragnaniello abbia mai scritto. Per la prima volta l’artista napoletano racconta di quando a 15 anni scappò a Milano, vivendo per strada. La stessa strada che lo porterà in galera per aver rubato un’auto, fino all’incontro con la chitarra e il suo primo amore, Rosetta. Una musica che potremmo definire quasi religiosa, sciamanica, per l’approccio spirituale e la sua inconfondibile voce: una sorta di preghiera laica, un balsamo per le sofferenze. Dodici canzoni tra cui due in lingua italiana, “Cara”, dove dialoga con il trombone di Michele Jamil Marzella, e “Ancora in me”, in cui il sapore della classica napoletana rivive nel mondo popolare e rock, grazie anche alla mandolina di Piero Gallo, che caratterizza il suono scarno ed essenziale del cantautore sciamano. L’ennesimo disco autoprodotto. “Sì, ho bisogno di sentirmi libero da tutti e da tutto – continua il cantautore – per realizzare esattamente ciò che ho in testa”. Enzo Gragnaniello è un artigiano delle parole, le cerca, le modella per poi sussurrarle come in “Mmano ‘o tiempo”, il brano che apre l’album e, “Si tu me cunusciss’”, canzoni in cui le melodie sono pennellate blues. “Nun c’è bisogno” è una moderna filastrocca popolare che ci ricorda l’importanza del sentimento. Poi c’è “Povero munno”, già cantata dall’amico sassofonista, James Senese. Nel brano “Gli uomini ego”, invece, racconta di come l’io sia capace di creare l’illusione di farti sentire più furbo degli altri. “Questo accade quando non siamo connessi con la parte più vera di noi stessi, l’anima”, spiega Gragnaniello. Per il cantautore napoletano è tutto legato, anche “‘A delinquenza” è un’illusione della materialità, “Non tiene speranza, sta dentro la miseria e dentro la ricchezza”. L’album si chiude con, “Tiempo ‘e veleno”, un brano dedicato al dramma dello smaltimento dei rifiuti tossici, tratto dal film, Veleno, con Massimiliano Gallo e Luisa Ranieri.
Cosa pensa della musica che gira in radio? “Oggi sento troppa vanità e poca anima, come i trappani (come scherzosamente chiama i trapper) – in napoletano persona rozza, ignorante che veste male – così possono cantare tutti anche il salumiere sotto casa mia mentre taglia la mortadella”. (sorride). Come nascono le sue canzoni? “Io non faccio nulla, è la musica a venirmi a cercare”.