La Stampa, 23 aprile 2019
«Non ci sono più orafi»
Il maestro che insegna ai discepoli, nell’artigianato del lusso, era il valore senza prezzo e oggi sta scomparendo. Una tradizione che si tramandava di generazione in generazione: i padri a bottega con i loro segreti preziosi, i figli, pronti a raccogliere il nettare di saggezza, accorgimenti minimi che marcano la differenza tra un oggetto e il capolavoro. I dati dell’abbandono sono sconcertanti e non unicamente legati al legittimo e apprezzabile desiderio delle giovani generazioni di allargare gli orizzonti professionali. Abbiamo incontrato i vertici aziendali di brand di eccellenza e li abbiamo trovati sensibili al tema, tanto da aver già predisposto investimenti corposi per arginare il problema. Sabina Belli, amministratore delegato di Pomellato e Jean-Christophe Babin, Ad di Bulgari, non hanno dubbi nel riconoscere che questa mano d’opera è preziosa soprattutto per marchi internazionali.
L’immagine sociale in calo
Sabina Belli, Ad di Pomellato, sostiene la necessità di un cambio di passo : «Un tema che tocca il business ma va trattato come patrimonio culturale. Vediamo il mestiere ma dietro c’è una storia, il genio che si è espresso nei secoli. Parliamo di capacità nella mano d’opera, di architettura, di design industriale, moda, oreficeria e per noi che facciamo parte del gruppo Kering significa anche Ginori e il mondo che si porta dietro. Purtroppo manca la valorizzazione economica di tutto questo, manca la chiarezza e la decisione politica». Inoltre, culturalmente i mestieri della mano non sono considerati come quelli d’ufficio. A fronte di una possibile vocazione extra familiare, Belli vede genitori poco lungimiranti che preferiscono sapere un figlio insoddisfatto dietro una scrivania anziché felicemente orafo, ebanista, conciatore. «Intraprendere una carriera manuale è una questione di immagine sociale: un tempo nessuno si poneva il problema, la conoscenza veniva tramandata per generazioni». Tempo fa resistevano scuole orafe di competenza ma vista la scarsa frequenza molte hanno chiuso. Senza considerare la concorrenza della mano d’opera straniera, forte in Europa. «L’artigianato va preservato, il made in Italy , all’80%, è già un marchio di attrazione internazionale - aggiunge - . E serve competenza oramai rara e savoir faire molto alto. Facciamo sì che questi mestieri legati alla specificità del nostro Paese siano compresi. Restituire loro dignità stimolerà vocazioni».
I percorsi di qualificazione
Una volta cambiata la mentalità, ecco il percorso accademico formale per una qualificazione riconosciuta che si completa con un accompagnamento e un apprendistato. Un giovane con il suo maestro è formato nel gesto per trovare la sua personale interpretazione, come un cuoco con i suoi segreti di cucina. «Sono fiera che nel nostro gruppo si continui la tradizione orafa di cinquant’anni fa, ancora in casa, con un centinaio di maestri che lavorano i pezzi per noi- dice Belli-.Sta nella nostra tradizione avere una forma di affiancamento che tramandi l’orgoglio per ciò che si fa e che non può essere rimpiazzato». Un sistema che a cascata prevede un centro studi, un polo di competenza per le gemme, chi fa i prototipi in tre dimensioni che poi passano in fabbrica. È un lusso discutere su una forma, vedere il prodotto finito nella fluidità del processo creativo. «Ecco perché sosteniamo la scuola Galdus di oreficeria, più un corso avanzato sulle tecniche tipiche dell’oreficeria tenuta dai nostri artigiani- prosegue Belli-. Abbiamo creato con la regione Lombardia un progetto ancora più ambizioso. La salvaguardia del patrimonio storico dell’oreficeria è in cima al lavoro filosofico-culturale di Pomellato». Ma serve uno sforzo triangolare tra i marchi, le regioni, i poteri pubblici ai più alti livelli, il ministero dei Beni Culturali perché parliamo di mestieri che permettono di esportare il lusso di cui siamo ancora i best in class. A Venezia chiudono i forni per il vetro, il pizzo con il tombolo è quasi sparito. «Vengo da una famiglia di artigiani cappellai e guantai, era un piacere dell’occhio scoprire il mistero della creatività, vedere l’emanazione del proprio lavoro, l’idea che diventa prodotto d’eccellenza - osserva Belli-.Da manager le dico che tra pochi anni , se si pone rimedio subito, tutto questo sparirà».
L’urgenza del rinnovamento
Per l’amministratore delegato di Bulgari, Babin, il XX secolo, ricco di prospettive culturali, ha portato uno spostamento di visuale: «Gli orizzonti allargati per un giovane sono molto stimolanti: andare fuori dall’Italia, imparare all’estero è un fatto sociale». Ma è altrettanto interessante raccogliere un sapere antico. Soprattutto nel lusso e mai popolazione fu più predisposta di quella italiana a preparare una leadership con prospettive di carriera internazionale, con ricadute nel digitale e ciò potrebbe attrarre giovani talenti. «Ma bisogna organizzare piani di formazione e sta a noi confermare l’interesse per questa filiera promuovendo l’eccellenza italiana- sottolinea Bibin - .Far intravvedere prospettive di crescita al passo con i tempi e con le aspettative di oggi. I giovani pensano al mondo 4.0, temono che i loro mestieri siano delocalizzati». E’ basilare spiegare che si tratta di lavori ricchi di contenuti, soprattutto durevoli, componente importante da sottolineare, pena la scomparsa. Nel caso del mercato italiano parliamo di gioielli, di orologeria, di tessuti, della micromeccanica, degli occhiali, bacini di maestria di cui le aziende devono farsi garanti. «Essendo Bulgari noi ci evolviamo anche nella tecnologia introducendo nuovi processi di produzione e di stampa che possono aprire a diverse prospettive del mestiere, senza escludere i processi ancestrali della filiera», precisa. Ed è appunto a Valenza che Bulgari ha una manifattura con una scuola capace di formare in 18 mesi più di 220 artigiani dedicati alla fabbricazione del gioiello.
Le intese scuole-aziende
«Prima l’Academy poi il lavoro attivo proposto ai nuovi assunti a Torino, Marcianise, Firenze, Milano - racconta Babin -. In più collaboriamo con le scuole ed essendo nel gruppo Lvmh apriamo a varie decine di giovani studenti con stage di 2 mesi e poi 4 mesi di formazione. Siamo orgogliosi di aver ideato la fondazione “Mani Intelligenti” con Bulgari socio fondatore e sedici aziende valenzane partner, allo scopo di attrarre giovani della regione Piemonte per lo studio di questo mestiere d’eccellenza». E, aggiunge, «molto importante per noi è anche la collaborazione con gli istituti dei mestieri con corsi di specializzazione che possono accedere ai finanziamenti europei». Tutto questo porta al perfezionamento della struttura informativa e serve a creare interesse nei giovani. I primi passi necessari per arrivare all’assunzione. I posti di lavoro in gioco sono tanti: cento artigiani già assunti a Roma, 250 a Valenza, senza differenze di genere: anche se nell’orologeria c’è una prevalenza femminile.
L’età media per ora è sui 40 anni ma, assicura, «puntiamo sull’evoluzione di una nuova generazione che ripensi i processi evolutivi», sia dal punto di vista creativo, sia artigianale con integrazioni future in 3D. Mestieri dalle grandi opportunità, il valore aggiunto inventivo è importante. Ricordando sempre che l’Italia è alla vetta del lusso mondiale.