Corriere della Sera, 23 aprile 2019
Intervista a Fabio Fognini
«Le sto parlando con la coppa accanto. Domenica notte ci ho dormito insieme: io, Flavia, Federico e il trofeo, tutti nel lettone! Ha i nastrini rossi e bianchi della bandiera di Montecarlo. Sa che è ancora più bella di quando il principe Alberto me l’ha data...?».
Accarezzato quasi fuori tempo massimo dagli dei del tennis, reduce dalla «settimana più bella della mia vita», il tennista randagio fa finalmente le fusa. Ed è difficile riconoscere nell’amabile 32enne che ieri ha rifiutato tutti gli impegni da nuovo re di Montecarlo per festeggiare in famiglia il compleanno di mamma Silvana (gli anni il campione li compie il 24 maggio, sotto il segno dei gemelli e non fa una grinza: dottor Fognini e Mister Fabio si alternano da anni sullo stesso playground) il bambino viziato di mille dimenticabili sceneggiate. Ma nella vita, a un certo punto, si cresce. «Meglio tardi che mai» ride lui con la barbetta ancora elettrica dell’energia del torneo che gli cambia la carriera. «Ma io proprio no, non cambio». Ah ecco. Parliamone, monsieur Fognini.
È tutto vero, quindi?
«Verissimo! Sono il cioccolatino dentro l’uovo di Pasqua».
Com’è, il giorno dopo, il sapore del trionfo Fabio?
«Faccio fatica a descrivere cosa provo. Davvero mi mancano le parole. È stato tutto così inaspettato...».
Proviamo a riavvolgere il nastro. Lunedì scorso: sotto 4-6, 1-4 con il russo Rublev al primo turno. Un piede fuori dal torneo.
«Sono sincero: sono stato fortunato. Sia con Rublev che con Simon al secondo turno, che si è ritirato. Poi, di partita in partita, mi sono sentito sempre meglio. Soprattutto ho ritrovato il gusto della lotta, e non mi succedeva da un po’. Ho battuto il n. 3 del mondo Zverev, ho rimontato Coric, ho vinto con il n. 1 sulla terra, Nadal. E ho trovato in finale Lajovic, n. 48 del ranking: quando mi ricapita?».
Ritrovare il gusto della lotta è importante.
«Decisivo. È quello che ti tiene lì, in campo, quando le cose vanno male. Ho cominciato bene la stagione in Australia, ma gli ultimi due mesi sono stati pessimi. Mi allenavo bene, poi in partita non ero io. Non mi riconoscevo nella lotta, ero negativo, mi sopportavo poco. Per risalire ho dovuto toccare il fondo».
Quando è successo?
«A Marrakech, ai primi di aprile. Sono arrivato da testa di serie n. 2, dopo un match ero già fuori. Ho spaccato qualche racchetta, poi mi sono riunito con Flavia (Pennetta, regina dell’Us Open 2015, la moglie ndr) e Corrado (Barazzutti, finalista a Montecarlo con Borg nel ‘77, coach in coabitazione con Franco Davin ndr). Ho le occasioni ma non le sfrutto: che succede?».
Che succedeva?
«Che avevo perso la voglia, non avevo più pazienza: ogni tanto se ne vanno, succede. A Montecarlo mi è tornato tutto indietro, con gli interessi».
Perché proprio a Montecarlo?
«Perché è il torneo di noi italiani. Pietrangeli ci ha vinto tre volte, Corrado ha giocato la finale con Borg. Io mi ci sento a casa: sono nato a Sanremo, a 40 km dal Principato. Quei campi li frequento da quando ero piccolino. E in tribuna c’era tutto il mio mondo: la famiglia, gli amici».
Senza famiglia, la sua famiglia (Flavia e il piccolo Federico), tanta bellezza sarebbe stata possibile?
«Flavia non mi ha mai lasciato. Mi ha supportato e sopportato. Bisogna sapermi stare accanto, non è facile gestirmi. Flavia è tutto: moglie, mamma, assistant coach. Si è presa anche qualche parolaccia...».
Basta Fabio con queste parolacce: prometta che con il nirvana di Montecarlo ha raggiunto la pace dei sensi.
«Eh... Quando ci vogliono, ci vogliono. Se sono positive e costruttive, è meglio dirle che tenersele in gola».
Mah.
«È che sono così: fuori dal campo miglioro, dentro mi trasformo. È come se avessi un doppio lavoro!».
Che fine fanno, da re di Montecarlo, le sfuriate, le sceneggiate, quell’orribile squalifica all’Open Usa 2017 per insulti sessisti alla giudice di sedia? Era tutto necessario per arrivare fin qui?
«Sono andato per la mia strada, nel bene e nel male. Quando ho sbagliato, e ho sbagliato, ne ho pagato le conseguenze. Ma sono sempre rimasto me stesso: ho lavorato, ho guardato avanti. Gli errori si commettono e ho dovuto imparare ad accettarli. Poi si cambia, si cresce. Nella settimana di Montecarlo penso di averlo dimostrato».
Crede nel caso o nel destino?
«Credo che questa vittoria si arrivata proprio a me per un motivo speciale».
Quale?
«Boh. Glielo saprò dire, ancora mi sfugge...».
Cosa le ha detto il totem Nicola Pietrangeli (re di Montecarlo ‘61, ‘67, ‘68, l’ultima volta 51 anni fa) sul podio?
«Che ha fatto fatica a salire sul palchetto perché gli faceva male una gamba».
Tutto qui? Qualcosa di un po’ più lirico, magari?
«Ah sì, mi ha detto che era contento per me, perché Montecarlo è il torneo des italiens, roba nostra».
Numero 12 del mondo da ieri, best ranking. Numero uno d’Italia ristabilendo le gerarchie con Marco Cecchinato. Come cambiano gli obiettivi dopo essersi annesso il primo Master 1000 della carriera, Fabio?
«Non cambia niente, chi mi conosce lo sa. Non cambierò io e non cambieranno gli obiettivi. Proverò a giocare a Barcellona anche se mi fa male la caviglia, il gomito non è a posto e durante la finale con Lajovic mi è venuto un dolore a una gamba. A Roma e a Parigi andrò, come sempre, per dare il meglio. Poi bisogna mettere in conto di poter perdere: nel tennis succede più spesso che vincere. E lo stesso vale per Djokovic, Federer, Nadal, i grandissimi. Oggi giocano tutti bene: tutti i turni, anche il primo, sono difficili. Io sono contento anche quando vinco i tornei più piccoli di Montecarlo, perché so che fatica c’è dietro».
È corretto dire che la gioia più grande è stata trionfare davanti a suo figlio Federico, che ha quasi 2 anni e comincia a capire che papà stavolta l’ha combinata grossa?
«Domenica mattina, uscendo per andare al circolo, gli ho dato un bacino e gli ho promesso: Fede, stasera papi torna con la coppa. Questa volta ho mantenuto».