Corriere della Sera, 23 aprile 2019
Il decreto e il debito di Roma
I 12 miliardi di debiti del Comune di Roma, da girare in parte allo Stato, i rimborsi ai risparmiatori coinvolti nella crisi delle banche, poco convinti dalla soluzione alle porte. Il cosiddetto decreto Crescita, approvato salvo intese il 4 aprile scorso, torna oggi in Consiglio dei ministri per l’atteso via libera definitivo, ma alla vigilia della riunione, e dopo settimane di aggiustamenti e limature, restano da sciogliere due grandi nodi, e ancora molte tensioni tra la Lega, il Movimento 5 Stelle e il ministero dell’Economia.
Sui debiti di Roma, al centro di polemiche da giorni, ieri è intervenuto a gamba tesa il leader della Lega, Matteo Salvini, contestando duramente la norma proposta dal sindaco Virginia Raggi. Sarebbe stata messa a punto dai tecnici capitolini insieme a quelli del ministero dell’Economia, e punta a trasferire allo Stato buona parte dei 12 miliardi di debiti della capitale oggi gestiti da un Commissario.
Dal 2010, quando a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, e al Campidoglio Gianni Alemanno, il governo decise di alleggerire i bilanci di Roma Capitale affidando a un Commissario la gestione del debito accumulato (9 miliardi con banche e mercati, altri 3 commerciali). Doveva essere smaltito con un piano di rimborso pluriennale, che arriva al 2048, a rate da 500 milioni di euro l’anno: 300 dallo Stato, 200 dal Comune (o meglio, dai cittadini romani, che hanno l’addizionale Irpef più alta d’Italia, e dai turisti, che pagano 1 euro su ogni biglietto aereo).
Il problema è che il Commissario, presto, non riuscirà più con le sue entrate a rimborsare il debito e le anticipazioni ricevute dallo Stato. Nel 2021 avrebbe uno sbilancio di 80 milioni, che man mano si allargherebbe. Prospettando il paradosso del fallimento del commissario, quello che doveva evitare il tracollo del Comune di Roma. La proposta dei 5S capitolini prevede il passaggio del debito direttamente allo Stato. In particolare quello finanziario, su cui pesano enormemente i Boc (una sorta di Btp municipali) emessi nel 2004 per un importo di 1,4 miliardi, che ne costano 2,2 di interessi. Lo gestirebbe il ministero dell’Economia, magari rinegoziando i prestiti con le banche (a cominciare dalla Cassa Depositi e Prestiti), come voleva fare Virginia Raggi in campagna elettorale, e in compenso ridurrebbe il suo attuale contributo di 300 milioni annui.
Per il Movimento è un’operazione che non costerebbe nulla alla collettività. Anzi, come disse il vice ministro dell’Economia, Laura Castelli, presentando il 4 aprile scorso la proposta in Comune, «non un euro di più di quanto sono costati ai cittadini italiani finora i vecchi debiti di Roma». A conti fatti, fin qui, sono 2,7 miliardi, cioè il contributo dello Stato al ripianamento del debito romano, dal 2010 a oggi. Secondo i 5S potrebbe essere addirittura una norma vantaggiosa per i contribuenti, se il ministero riuscisse ridiscutere le scadenze dei prestiti con le banche si potrebbero risparmiare 2,5 miliardi di euro. La Lega vede la norma come fumo negli occhi e lo scontro, già durissimo in Campidoglio, è proseguito anche ieri. La Castelli tenta la mediazione, annunciando che nel decreto ci saranno norme per tutti i comuni, non solo Roma. Secondo indiscrezioni si starebbe pensando di superare l’attuale regime del «dissesto» e del «predissesto» delle amministrazioni in difficoltà, passando ad una valutazione caso per caso delle crisi, sicuramente più discrezionale di quanto oggi non sia possibile con la Corte dei Conti in mezzo.
Altro nodo da risolvere è quello dei rimborsi ai risparmiatori coinvolti nei crack bancari, che dovrebbe entrare nel decreto. Resta il doppio binario voluto dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per evitare censure della Ue, con un rimborso automatico per chi ha redditi bassi (35 mila di reddito Irpef o un patrimonio mobiliare inferiore a 100 mila euro) e un arbitrato per gli altri.
I collegi arbitrali procederebbero prima a identificare le operazioni scorrette delle banche, «tipizzandole» per accelerare i tempi della discussione delle singole cause e dei ristori. Ma non si arriverà ai rimborsi automatici per tutti come chiedevano la Lega e i 5S. Alcune associazioni dei risparmiatori, poi, temono di essere tagliati fuori per aver acquistato le azioni in tempi più recenti, e che il sistema penalizzi quelli scottati dalla crisi delle popolari venete. Anche per questo la Lega continua a fare pressing sul Mef.