Il Messaggero, 23 aprile 2019
Gli eco-estremisti di Londra
Otto giorni di proteste, oltre mille manifestanti fermati e una città come Londra paralizzata durante le festività pasquali. Se l’obiettivo di Extinction Rebellion, il movimento ambientalista nato nella capitale britannica nel 2018, era quello di farsi notare, non si può dire che non ci sia riuscito. Gli estremisti climatici, come sono stati definiti da alcuni giornali d’oltre Manica, per tutta la scorsa settimana hanno bloccato con proteste, sit-in e comizi i principali snodi della metropoli come Westminster, Waterloo Brigde o Marble Arch.
Forti dell’appoggio di alcuni volti noti come la due volte premio Oscar Emma Thompson e Etienne Stott, oro olimpico di canoa nel 2012 che domenica si è improvvisato oratore arringando i manifestanti dal tetto di un autobus, i Ribelli hanno provato a sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi legati all’inquinamento. Un obiettivo nobile che però ha causato molti disagi a cittadini e forze dell’ordine che infatti hanno fermato 1.065 manifestanti, incriminandone 53. Nel pomeriggio di ieri però, il gruppo ha interrotto le barricate per passare alla «Fase 2» e cioè alla negoziazione con le autorità dei loro tre obiettivi: la proclamazione di uno «stato d’emergenza climatico ed ecologico», l’elaborazione di un piano d’azione per «ridurre a zero le emissioni di gas serra entro il 2025», la creazione di una «assemblea cittadina che, con l’aiuto di scienziati, si pronunci sulle questioni climatiche». Una tregua che non sembra destinata a reggere a lungo. Secondo i media britannici gli organizzatori starebbero progettando «un’ulteriore settimana di attività» che comprenderebbe un tentativo di ostacolare l’ingresso dei deputati in Parlamento.
AZIONI PIANIFICATE
Azioni forti e ben pianificate che rispondono alla strategia dei fondatori del movimento Gail Bradbrook e Roger Hallam. I due, entrambi rispettati scienziati, hanno studiato a fondo la storia delle proteste sociali del 900 estrapolandone i punti chiave che ne hanno causato il successo o il fallimento. Una serie di informazioni da cui avrebbero poi generato «l’algoritmo delle proteste» su cui hanno costruito il piano d’azione utilizzato a Londra.
Il numero degli arresti ad esempio, sarebbe stato definito intorno al migliaio perché sufficiente per costituire un costo sociale troppo alto per essere ignorato dalle autorità. Una scienza del dissenso che preoccupa il sindaco di Londra Sadiq Khan per «l’impatto che le proteste stanno avendo sulla nostra capacità di gestire questioni come il crimine». Sono circa 9mila infatti, gli agenti impegnati nel monitoraggio e nel contenimento delle manifestazioni.
In pratica si tratta di un gruppo che non si sapeva così organizzato e che, nonostante domenica abbia giovato della presenza dell’iconica Greta Thunberg – «Voi state facendo la differenza» ha detto la giovane ai manifestanti – ci tiene a svincolarsi dalle similitudini ravvisate con altri movimenti. Extinction Rebellion infatti, è vista come una sorta di sintesi tra l’onda verde dei Venerdì per il futuro guidata dalla Thunberg e la rabbia dei gilet gialli che per 23 sabati consecutivi hanno devastato le città francesi. Un’unione gialloverde – apolitica e non violenta – che dopo aver paralizzato Londra ha intrapreso azioni anche in Italia, in Germania, in Irlanda, in Francia e negli Usa.
Nel Belpaese ad esempio, la costola nostrana non solo ha preso parte alle marce per il clima delle scorse settimane ma ha anche organizzato diverse manifestazioni. A Torino, a Milano e a Genova ma anche in via del Pigneto a Roma, dove il 18 aprile i Ribelli hanno inscenato un flash mob per denunciare l’inazione del governo nei confronti delle tematiche ambientali. Una dimostrazione pacifica che non ha paralizzato l’intero quartiere romano ma solo provato a spingere alla consapevolezza i passanti. Un’azione meno mediatica rispetto ai colleghi inglesi ma anche meno dannosa per città e cittadini.