La Lettura, 22 aprile 2019
Il Codice da Vinci non esiste
Leonardo non compose alcun Codice Atlantico, né esso figurava tra i manoscritti e i volumi lasciati per testamento all’allievo Francesco Melzi. Il nome è entrato nell’uso grazie ai dottori della Biblioteca Ambrosiana: nel 1780 Baldassarre Oltrocchi (autore di importanti Memorie storiche su Leonardo) designava così il volume: «Codice delle sue carte in forma atlantica», per distinguerlo dagli altri 12 manoscritti vinciani, di formato molto più piccolo, allora in possesso dell’istituzione milanese. Il nome deriva quindi dal formato. Il volume (cm 67 x 44), di complessive 401 carte, era stato allestito verso la fine del Cinquecento dallo scultore Pompeo Leoni.
Dopo la morte di Francesco Melzi, nel 1569, era iniziata la dispersione dei materiali leonardeschi, e Pompeo Leoni ne aveva fatto incetta: dalla sua raccolta provengono anche i fogli oggi nella Royal Library di Windsor Castle, i manoscritti custoditi all’Institut de France di Parigi, i codici Forster del Victoria and Albert Museum di Londra, il Codice Trivulziano oggi nella omonima Biblioteca al Castello Sforzesco di Milano, il Codice sul Volo degli uccelli appartenente alla Biblioteca Reale di Torino e probabilmente anche i manoscritti della Biblioteca Nacional di Madrid.
Forse dopo il rientro a Madrid, nel 1590, Pompeo si mise a sistemare il materiale raccolto secondo criteri di impatto estetico e curiosità. Dopo aver selezionato i disegni più belli anche a costo di ritagli e smembramenti, Leoni organizzò il materiale rimanente, pari a circa 1.750 pezzi, dai grandi bifogli ai minuscoli frammenti, montandoli in uno spettacolare volume dal formato, per l’appunto, simile a quello degli atlanti geografici. Dobbiamo comunque credere che fin da principio i fogli si presentassero sciolti, o al massimo, in qualche caso, si trattasse di pochi quaterni legati insieme, ma non di veri «codici»: lo dimostra il fatto che i codici veri e propri furono lasciati intatti. La legatura originale portava questa iscrizione, che a rigore costituisce il vero «titolo» del Codice Atlantico: «DISEGNI. DI. MACHINE. ET/ DELLE. ARTI. SEGRETI./ ET. ALTRE. COSE./ DI. LEONARDO. DA. VINCI/ RACCOLTI. DA./ POMPEO. LEO/NI».
Leoni morì nel 1608 e il suo patrimonio leonardesco (a esclusione dei codici Forster e dei fogli ora a Windsor) passò a Cleodoro Calchi, che per 300 scudi li cedette al conte milanese Galeazzo Arconati. Nel 1626 il cardinale Francesco Barberini ottiene da Arconati il permesso di far copiare tutti i testi vinciani di sua proprietà; il lavoro di copiatura, concluso nel 1643, fu condotto a partire dal 1637 in Ambrosiana: in quell’anno Arconati donò alla biblioteca fondata da Federico Borromeo il Codice che noi chiamiamo Atlantico, 11 dei 12 manoscritti oggi a Parigi, il Codice Trivulziano e quello sul Volo degli uccelli, all’epoca però rilegato insieme all’attuale Ms. B di Parigi.
Da quel momento il Codice Atlantico divenne una delle principali curiosità dell’Ambrosiana, e spesso i diari di viaggio di chi intraprendeva il Grand Tour in Italia menzionano, talvolta con divertita ammirazione e talvolta con delusione, il carattere caotico, pieno di strani progetti e di misteriosi disegni, della compilazione leonardesca. In una delle più diffuse guide, il Voyage d’Italie del Cochin del 1773, si legge che «si fanno notare delle bombe, e si pretende che siano state inventate da lui [Leonardo] in quei tempi, ma è facile vedere che sono disegnate da un’altra mano».
Tutti i manoscritti vinciani dell’Ambrosiana furono trasportati a Parigi nel 1796. Lì il destino dei volumi leonardeschi si separò: i piccoli manoscritti furono collocati all’Institut de France e il Codice Atlantico finì alla Bibliothèque Nationale. Dopo il Congresso di Vienna ogni potenza vincitrice mandò incaricati a recuperare le opere d’arte trafugate da Napoleone: l’austriaco barone di Ottenfels si interessò dei codici di Leonardo solo su pressione di Antonio Canova, commissario dello Stato della Chiesa, e solo presso la Bibliothèque Nationale, dove trovò il Codice Atlantico, che fu l’unico a tornare in Ambrosiana.
Il Codice fu restaurato presso l’Abbazia di Grottaferrata tra 1962 e 1972; i fogli e i frammenti, per un totale di 1.119 pezzi, furono staccati, rinumerati e rimontati in 12 volumi, cambiandone quindi per sempre la struttura fisica. Nel 2008 il Codice Atlantico fu sfascicolato, e venne trasformato di fatto in una grande raccolta di fogli sciolti di diverse dimensioni. Essi, abbracciando una cronologia che va dal 1478 al 1518, comprendono quasi l’intero arco dell’attività di Leonardo e rappresentano la più completa e complessa testimonianza della sua vita sia intellettuale sia quotidiana.