La Lettura, 22 aprile 2019
La strategia della Cina in 4 pilastri
Nel giro di un decennio, il mondo sarà definitivamente bipolare: fondato su un equilibrio instabile tra Stati Uniti e Cina che escluderà l’Europa. Non ci saranno valori dominanti, ma una «competizione caleidoscopica tra varie ideologie», con il corollario del declino del liberalismo occidentale. Difficilmente tra le due superpotenze ci sarà uno scontro diretto, dal momento che la deterrenza nucleare della guerra fredda rimane presente anche nel confronto odierno tra Washington e Pechino. L’incertezza nelle relazioni internazionali crescerà ulteriormente e il cuore di ciò che succederà sarà deciso nell’Asia dell’Est.
Questa è la migliore approssimazione possibile di ciò che pensa oggi il vertice del Partito comunista cinese. Ed è fondata su una teoria delle relazioni internazionali nuova, elaborata tra mondo politico e accademia, basata sulla storia della Cina e sullo studio dell’emergere e del declinare delle grandi potenze. A differenza che nelle teorie occidentali – le quali legano il potere di una nazione alle istituzioni, alla forma politica dello Stato, alla governance — a Pechino la chiave è la leadership, considerata la «variabile indipendente» che dà forma e velocità ai cambiamenti dell’ordine globale. Il libro appena uscito di Yan Xuetong — Leadership and the Rise of Great Powers (Princeton University Press, pp. 260, £ 24) – è tutto questo, quanto di più vicino all’analisi e alla strategia cinese in questa fase storica di confronto tra potenza emergente e potenza dominante.
Yan Xuetong è un’autorità accademica di primo livello in Cina. È professore di Scienza politica e preside dell’Istituto di Relazioni internazionali all’università Tsinghua di Pechino, considerata la numero uno del Paese, dalla quale sono usciti molti degli alti quadri del Partito comunista, compreso il segretario Xi Jinping. Le teorie che presenta nel libro sono il frutto del dibattito serrato in corso in Cina, finalizzato a comprendere le caratteristiche della sfida tra grandi potenze, che per Pechino è l’attualità. Il fatto poi che il testo venga pubblicato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti racconta che il vertice cinese intende discutere e gareggiare con l’Occidente sulla base di quella che Yan chiama una «nuova teoria» delle relazioni internazionali. Di matrice cinese. Si tratta insomma di un libro di interesse straordinario: per chi lo scrive, per quando e come lo scrive e soprattutto per ciò che scrive.
Yan sostiene che gli interessi strategici di uno Stato sono definiti dalle sue «capacità onnicomprensive», le quali consistono di 4 elementi: politica, apparato militare, economia, cultura. È sulla base della forza di queste capacità che uno Stato può avere l’interesse a mantenere uno status quo di dominio mondiale, può cercare di ottenere questo dominio se è un potere emergente, può puntare a un’egemonia regionale se è una potenza media, può proteggere la sua sopravvivenza se è uno Stato debole.
Nella lettura di Yan, delle 4 capacità statuali le ultime 3 sono «elementi di risorsa» mentre quella politica è «l’elemento operativo» che «applica un effetto moltiplicativo sugli altri tre elementi». Conseguenza: «Il miglioramento o il declino della capacità di uno Stato è determinato dalla capacità politica di quel Paese». E cos’è che determina la capacità politica di uno Stato? «La leadership nazionale». Leadership che può essere inattiva, conservatrice, proattiva o aggressiva, ma che comunque si rafforza quando fa riforme, quando modifica la realtà internazionale. In quest’interpretazione, la Cina è naturalmente riformista, in quanto emergente, più riformista degli Stati Uniti vincolati allo status quo, alla conservazione delle proprie posizioni. Dunque, il compagno Xi è più forte di Donald Trump.
Il libro di Yan Xuetong è la sistematizzazione teorica della visione cinese delle relazioni internazionali come finora non era stata espressa in Occidente. Molto discutibile e molto interessante.