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 2019  aprile 21 Domenica calendario

Assad contro il ritorno dei profughi

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Per l’Europa in affanno davanti al fenomeno dei migranti un nuovo campanello d’allarme arriva dalla Siria dove il presidente Assad, dopo aver prevalso sul fronte militare, sta ostacolando il ritorno in patria di 5,5 milioni di profughi causati dalla guerra civile.
Su 18 milioni di abitanti, la Siria conta ben 11,6 milioni di profughi 5,5 espatriati e 6,1 senza dimora dentro i confini ovvero un terzo del totale dei rifugiati dell’intero Pianeta. La maggior parte degli espatriati, causati dalla guerra civile iniziata nel 2011, si trova nei Paesi confinanti: 3,3 milioni in Turchia, 1 milione in Libano e 650 mila in Giordania a cui bisogna aggiungere un altro mezzo milione in Europa e 68 mila in Nordamerica. Si tratta di milioni di famiglie che sono state accolte nella convinzione che una volta terminata la guerra civile sarebbero tornate in patria ma ora tale prospettiva si allontana. Il primo a sollevare l’allarme su quanto sta avvenendo è stato Jumblatt, leader socialista druso libanese, e poi è toccato a Kuyumijan, ministro degli Affari Sociali a Beirut, rivelare che “meno del 20% dei profughi che hanno tentato di rientrare in Siria sono riusciti a farcela”. Da Amman trapelano cifre ancora più ridotte: con solo pochi profughi siriani ammessi, in maniera sporadica, al rientro. L’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr) ha documentato come alcuni profughi tornati dalla Germania in Siria abbiano ricevuto ogni sorta di maltrattamenti e alla fine hanno rinunciato. 
L’Istituto olandese per le relazioni internazionali è andato oltre, riuscendo a individuare “sette misure normative” che il regime di Assad ha adottato per limitare al massimo il ritorno di profughi che considera avversari: dalle norme sull’emissione di nuove carte di identità alla possibilità di privare della nazionalità chi ha commesso “reati contro lo Stato” trovandosi all’estero. Ma è in particolare la legge numero 10, emanata nell’aprile 2018, a ostacolare i rimpatri perché consente al regime di Assad di requisire terreni e proprietà private per destinarle alla ricostruzione se i proprietari, tornati dall’estero, non hanno specifici “attestati di possesso”. Poiché gran parte dei siriani fuggiti dal 2011 vengono da aree rurali e piccoli villaggi dove questi “attestati di possesso” non esistevano, la decisione ora di renderli indispensabili significa ostacolarne il ritorno. Sradicandoli per sempre dalle loro terre. E poiché gran parte dei profughi sono sunniti, il timore fra gli esuli come nei Paesi arabi della regione è che Assad stia adoperando la legge 10 per generare un ricambio di popolazione: sostituire l’etnia a lui più avversa con sciiti, cristiani ed altre minoranze che hanno invece sostenuto il regime durante una guerra civile che ha causato almeno mezzo milione di vittime. Assad infatti appartiene alla minoranza alawita, ha avuto negli sciiti il maggior alleato militare e vede nella popolazione sunnita una sorta di cavallo di Troia delle nazioni mediorientali a lui più ostili: Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar.
Ovvero, dopo aver vinto la guerra con il sostegno militare di Iran e Russia, Assad punta oggi a trasformare la ricostruzione in un volano per eliminare dalla popolazione quanti più rappresentanti possibili delle etnie non gradite. Per scongiurare nuove rivolte popolari in futuro contro il suo regime. È una forma sofisticata, spietata, di pulizia etnica, che alcuni recenti studi dell’Alto commissario per i rifugiati dell’Onu avvalorano attestando che “molti profughi siriani vogliono tornare ma temono di farlo in questa situazione”. A dimostrarlo sono i numeri: dall’inizio del 2018 appena 8070 profughi sono rientrati dalla Giordania e 14496 dal Libano. Da qui l’ipotesi che l’Europa e i Paesi arabi possano decidere di condizionare gli aiuti economici alla ricostruzione della Siria ad un cambiamento radicale della posizione del regime sul rientro dei profughi. Facendo leva, come suggeriscono fonti diplomatiche a Bruxelles, sulla posizione della Russia maggiore protettore di Assad che sta chiedendo proprio all’Ue di essere protagonista della ricostruzione di un Paese devastato da distruzioni e stragi. In attesa di vedere se Assad accetterà di far tornare i profughi sunniti nelle loro case, possono esserci pochi dubbi sul fatto che la pulizia etnica in corso in Siria ribadisce come dietro le grandi migrazioni che investono l’Europa c’è la ferocia di regimi e dittatori che disprezzano la propria gente.