«Sono orgoglioso di dare inizio alla mia attività live proprio in questo giorno in cui si ricorda la liberazione del nostro paese dalla dittatura del fascismo».
Per te è una cosa importante lottare per la libertà?
«Io credo che bisogna sempre lottare per la libertà. Ognuno nel suo campo. Nel contesto discografico succede che spesso cercano di modellarti per farti funzionare di più sul mercato.
Secondo me invece bisogna essere se stessi. Nel passato dell’Italia c’è stata una vera e propria lotta per la liberazione, in quella di oggi bisogna combattere ogni giorno battaglie forse piccole ma secondo me importanti perché la costrizione passa in una maniera più sottile».
Quali sono queste battaglie?
«Io sono agli inizi: ci sono tante cose che devo ancora capire ma vorrei che la musica italiana riuscisse ad avere rilevanza anche fuori dal nostro paese. Per questo andare all’Eurovision è un passaggio molto importante. Lì possiamo mostrare al mondo quanto valiamo».
Secondo alcuni però la musica italiana è solo quella che segue un certo tipo di tradizione melodica, non quella contaminata con altri generi come il rock, il rap o la trap.
«È da stupidi dire una cosa del genere: la musica è una cosa in costante evoluzione, non può venir fissata dentro dei canoni. Deve rispecchiare l’anima di chi la fa indipendentemente dalle mode del momento ma credo che questo messaggio puro e diretto non possa prescindere dalla contaminazione con il tempo in cui si vive: evoluzione e contaminazione sono fondamentali».
A proposito di far conoscere la musica italiana all’estero, ha parlato di te anche il “New York Times”...
«Non mi sarei mai aspettato una cosa simile, anche perché i giornalisti sono venuti apposta a Milano per intervistarmi e farmi le foto: sono stati con me una giornata intera! È stato un onore per me portare un po’ del mio mondo negli Stati Uniti, un paese che è sempre stato un mio sogno quando da piccolo ascoltavo Stevie Wonder, Ray Charles, Otis Redding».
Ma tu in America ci sei mai stato?
«Mai. Il mio sogno è portare mia madre a New York perché è sempre stata un po’ la meta dei nostri sogni, per noi New York è un po’ come la Fabbrica di cioccolato, un luogo mitico del nostro immaginario».
A proposito, il NYT ti ha fotografato in un caffè di Milano: è quello dove, come mi hai raccontato, facevi “cappuccini male”?
«No, non è quello. L’originale era in San Babila e beh, sì non ero molto bravo, ci provavo ma con scarsi risultati. Così come quando andavo ad aiutare mia mamma ai tempi del liceo nel suo bar: non ero molto costante, spesso finiva che non ci andavo, con la musica invece sono sempre stato un perfezionista».
Tua madre quanto è stata importante?
«Già alla medie io volevo fare musica e grazie a lei ho potuto prendere lezioni di canto ma soprattutto è stata fondamentale quando stavo davanti al Nintendo un po’ disilluso: mi scuoteva per farmi andare avanti».
E tuo padre? In “Soldi” c’è una frase che dice: “Mettevi in macchina le tue canzoni arabe e stonavi/ e poi mi raccontavi vecchie favole”...
«Sì ho questo ricordo di mio padre che mi faceva ascoltare le sue canzoni e mi diceva “Ale devi ascoltare questa: è la cantante più brava d’Egitto (imita l’accento egiziano, E io: “ Va beh se proprio devo...”. Cantava malissimo queste canzoni che a me non piacevano ma che però evidentemente in qualche modo mi sono rimaste dentro».
Dopo la vittoria a Sanremo hai sentito tuo padre?
«Sì, mi ha fatto i complimenti».
Non deve essere stato facile per lui, forse. Un’altra strofa della canzone dice: “Lasci la città ma nessuno lo sa/ ieri eri qua/ ora dove sei papà”.
«Avevo deciso di tentare il tutto per tutto con questo canzone e così ci ho messo me stesso senza filtri: andare a Sanremo con una canzone che in una parte è cantato in arabo! E poi non parla di soldi: dentro c’è rabbia. La mia rabbia più che la tristezza. È un testo molto personale ma io sentivo che dovevo cantarla».
Cosa dice la parte in arabo?
«Dice: “Figlio mio, figlio mio, amore vieni qua”».
A cosa si riferisce?
«Era una frase che mi diceva da piccolo mio padre quando andavamo al parco e che mi è rimasta dentro».
Dicevi che “Soldi” non parla di soldi.
«Parla di come i soldi possono cambiare i rapporti all’interno di una famiglia: quindi è un po’ il contrario di quello che uno può pensare se ascolta solo il ritornello».
Il 14 maggio inizia l’Eurovision, dove rappresenti l’Italia: ce la puoi fare?
«A fare una bella figura spero proprio di sì: l’ho cantata talmente tante volte che se la sbaglio lì sono davvero sfigato».
Poi la prima data vera del tour è il 30 aprile. Cosa farai?
«Farò tutto il disco nuovo e ci saranno anche delle sorprese inedite. E poi degli ospiti che non posso ancora svelare».
Sarebbe bello se l’Italia vincesse l’Eurovision con Mahmood.
«Non mi importa vincere: ho già avuto tanto. Ma comunque ce la metterò tutta».