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 2019  aprile 21 Domenica calendario

Massimo Tartaglia a dieci anni dal lancio della statuetta

Dice che la sera si mette in cuffia e sta lì. «La musica cura». Depeche Mode, Jean-Michel Jarre, Brian Eno. La musica è anche l’onda che il sabato lo spinge in auto e poi in metropolitana fino a piazza del Duomo. «Mi rilasso, compro dischi». Lì è proprio lì, dietro il Duomo — quello vero, non la statuina. L’avamposto della sua trincea, il quarto d’ora di celebrità che gli arma la mano. Attentatore (quasi) per caso. Lì «c’è stato il baccano», lo chiama così. «Odiavo Berlusconi, ma con me è stato un signore». Il guscio di Massimo Tartaglia è la camera di un nerd cinquantenne: i dischi — 150 vinili, 250 cd — l’impianto stereo, i libri, lo zaino: tutto in ordine. Felpa e jeans. Sì, Tartaglia, lui: l’uomo che dieci anni fa, è la sera di Santa Lucia, ferisce Silvio Berlusconi — allora presidente del Consiglio — centrandolo in pieno volto con una statuetta del Duomo dopo un comizio. Berlusconi era premier e ancora Cavaliere; Tartaglia un perito elettronico di Cesano Boscone, un tipo chiuso, implosivo, come i fragili che sprofondano inseguendo riscatti. Frustrazione più che ideologia, però sì, simpatico non gli stava, il "Berlusca". Tredici dicembre 2009: la rabbia acceca Tartaglia. Si spegne la luce e parte il proiettile, il Duomo-bonsai con le guglie di ferro. Le immagini dell’attentato fanno il giro del mondo: la faccia di Berlusconi è una maschera di sangue.
Tartaglia sono due occhi spauriti, un cavolo di eroe del male, vulnerabilissimo, di passaggio.
Sono passati dieci anni. Come sta? Che cosa fa?
«Lavoro nella nostra ditta (la Altatek, sede a Corsico, ndr). Dispositivi elettronici, assistenza per le macchinette obliteratrici degli autobus, domotica. Siamo tre soci: mio padre, io e un altro. Ora la ditta è in vendita».
E il dopo-lavoro?
«Sono appassionato di musica. Ho il pallino dell’alta fedeltà, cerco il suono perfetto. Se riesco a vendere la ditta vorrei aprire un negozio di Hi-fi. Smanetto su eBay, compro usato e colleziono dischi. Ascolto tutto tranne Apicella! (Mariano Apicella, lo chansonnier di Berlusconi, ndr)».
Anche i giudici l’hanno salvata. O no?
«Nel 2010 mi hanno assolto perché giudicato incapace di intendere e di volere. Poi, tre anni fa, è caduta anche la pericolosità sociale e mi hanno tolto la libertà vigilata. Oggi sono libero. Abito ancora con i miei genitori, e questo, anche in passato, mi ha fatto sentire inadeguato con le donne. Ero depresso. Quella sera mi sentivo soffocare, ho fatto una cosa assurda».
Riavvolgiamo il nastro: 13 dicembre 2009.
«Lascio la macchina a Inganni (stazione della metropolitana di Milano, ndr) per venire in Duomo a comprare i regali di Natale. Mia madre ama i souvenir delle città. Le prendo una statuetta del Duomo in un’edicola all’ingresso della Galleria. Vedo che c’è il comizio di Berlusconi. Non lo sopportavo. In campagna elettorale aveva dato dei "coglioni" a tutti gli italiani che non avrebbero votato per lui».
Berlusconi scende dal palco. Lei che fa?
«Avevo fatto il giro da via Arcivescovado per prendere la metropolitana. Sento le grida dei ragazzi dei centri sociali. Torno verso il palco e c’è lui, a pochi metri, dietro le transenne che si dirige verso l’auto con la scorta. Il classico bagno di folla. Mi avvicino, mano in tasca, la statuina in pugno. Penso: "Lo faccio o no?". Mi dico: "Massimo, non hai niente da perdere". In quei giorni pensavo al suicidio».
Perché?
«Avevo conosciuto una ragazza russa. Siamo usciti, poi lei mi ha detto che andava a sciare col suo compagno. Ero reduce da un’altra delusione sentimentale. In più mi trascinavo dietro il lavoro che non andava. Soldi buttati in un brevetto. Ho pensato: se anche perdo l’ultima cosa che mi è rimasta — la libertà — pazienza!».
E decide di colpire Berlusconi.
«Non volevo ucciderlo, volevo solo fargli sentire la voce del popolo incazzato! Alzo il braccio e miro. Lo colpisco. Braccato dalla polizia, incrocio lo sguardo insanguinato del presidente. C’era il fuggi fuggi, come se fossi stato coperto di bombe. È stata una botta di vita di cui mi sono subito pentito».
Berlusconi l’ha perdonata.
«È stato un signore. Gli ho scritto quando ero in carcere a San Vittore (un mese, ndr). Ha detto al mio avvocato che per lui la storia era chiusa. Poi ho capito perché l’ho fatto: covavo una rabbia dentro e l’ho sfogata contro uno che aveva tutto, donne, soldi, potere, fama, e che ci dava dei coglioni».
È vero che sta scrivendo un libro sulla sua vita?
«L’ho iniziato da un po’. All’inizio mi ha aiutato una scrittrice che ho conosciuto su Meetic (un sito di incontri, ndr). Poi ha detto che non era più disponibile. Sto andando avanti da solo».
Che cosa racconterà?
«La mia vita, anche se magari non interessa a nessuno. Il 13 dicembre 2009 è stata la mia seconda cazzata. La prima risale alla terza media. Tutte le classi dovevano costruire un aeromobile. Io ero bravo nel modellismo. Con un mio compagno ci accorgiamo che in un’aula c’è tutto il materiale. Volevamo portarlo via. Ci avremmo costruito tanti aeromobili. Entra il professore e ci becca. Mi ha graziato. Non dimenticherò mai la frase che mi disse: "A me stanno sulle balle i furbi, ma ancora di più quelli che vogliono fare i furbi ma non lo sono!"».