Corriere della Sera, 21 aprile 2019
Viaggio a Nicosia nell’isola di Cipro
Nel centro storico di Nicosia, a pochi metri dal filo spinato che ancora spezza la città in due, ultima in Europa trent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino, i gatti non mangiano dalle ciotole. Si servono direttamente dai sacchetti di plastica abbandonati in strada. A Cipro, l’organico si ricicla solo così. E i gatti sono ben pasciuti. A oltre 170 chilometri di distanza, sulla spiaggia sabbiosa di Lara, nel parco della penisola di Akamas, affiorano mozziconi di sigaretta, cannucce scolorite, brandelli di copertoni e tantissime microplastiche. In estate, qui nidificano e nascono le tartarughe Caretta Caretta. È una zona protetta, eppure la buona volontà del servizio che tutela questi animali preistorici non può impedire l’arrivo dei rifiuti dal mare.
«Cipro è un’isola fortemente colpita dall’inquinamento marino, al 90 per cento plastica – ammette Costas Kadis, ministro dell’Ambiente della Repubblica di Cipro, l’unica riconosciuta dalla comunità internazionale —. In ogni chilo di sabbia, sulle nostre spiagge, si annidano microplastiche provenienti da 17 fonti diverse. Frammenti piccolissimi che s’infilano ovunque, anche nei tessuti umani».
In ritardo con le direttive Ue L’inquinamento marino è un’emergenza internazionale. E Cipro è diventata, suo malgrado, uno degli osservatori più caldi nella lotta dell’Unione europea ai rifiuti plastici. Anche perché è stato uno degli ultimi Paesi dell’Ue, assieme alla Spagna, a recepire la direttiva 2015/720 del Parlamento di Strasburgo che impone agli Stati membri la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (con spessore inferiore a 50 micron). Soltanto dal luglio scorso gli isolani (della parte greca) sono costretti a pagare 5 centesimi + iva se vogliono mettere la spesa in un sacchetto usa-e-getta. «Sì, siamo in ritardo. Colpa della burocrazia ma la gente ha risposto benissimo, in pochi mesi l’uso di questi sacchetti è crollato dell’85% – assicura il ministro – e ora sono in corso consultazioni per ristrutturare completamente il nostro sistema di gestione dei rifiuti e raggiungere i target stabiliti da Bruxelles».
Kipros si dà un gran daffare sulla spiaggia di Faros, correndo qua e là, davanti ai pallavolisti russi e alle due turiste olandesi spalmate sulle sdraio. Ha 11 anni e, assicura il preside della scuola elementare di Geroskipou, località balneare del sud, è un piccolo genio della matematica. Lui alza le spalle, ride con la fessura fra i due incisivi che sembra allargarsi ancor di più, e continua a raccattare pattume dalla sabbia: «A me piace questa lezione sull’ambiente!!!». Alla fine del «clean up» lui e i suoi compagni di classe hanno raccolto oltre 4 chili e mezzo di schifezze: filtri di sigarette, cannucce, lattine, sacchetti, assorbenti, piatti, bicchieri, coni gelato smangiucchiati e vari contenitori di plastica. La giovane Markella mostra ai bambini le «reti fantasma»: «I pescatori le gettano via o le perdono in mare, e così diventano trappole mortali per tartarughe e delfini». Poi, un sacchetto pieno di micropalline di plastica: «È il pellet, viene utilizzato per produrre la plastica e si trova in quasi tutti i mari del mondo: è molto pericoloso perché assomiglia alle uova di pesce». Gli animali marini se ne rimpinzano lo stomaco. Credono di essere sazi, invece muoiono di fame. «Succede anche alle tartarughe Caretta che spesso ingoiano pure interi sacchetti di plastica perché li scambiano per meduse, di cui sono ghiotte – ci spiega Yianna Samuel del Centro oceanografico di Nicosia —. Nelle tartarughe notiamo problemi anche con le cannucce che entrano nei loro setti nasali: inalano meno ossigeno e quindi passano più tempo in superficie, il che le rende più vulnerabili agli impatti con le barche».
«A Cipro abbiamo il più alto numero per capita di spiagge bandiere blu del mondo, ma sulla sabbia restano moltissimi rifiuti. L’altra parte dell’isola (la non riconosciuta Repubblica Turca di Cipro del Nord, ndr) ha i nostri stessi problemi e il sistema per il riciclo dei rifiuti è anche meno sviluppato. Ma cerchiamo di collaborare, oltre le divisioni, per trovare soluzioni comuni, come l’esperimento pilota «fishing for litter», che coinvolge i pescatori nella rimozione dei rifiuti dal mare», spiega la biochimica Demetra Orthodoxou dell’Akti Project and research centre, ong che partecipa al progetto multinazionale Mectemi per monitorare i rifiuti marini sulle coste del Mediterraneo: «Cerchiamo anche di sensibilizzare la popolazione, i proprietari di bar e ristoranti. E lavoriamo molto con i bambini nelle scuole». La maestra Polina Kitsiou, che insegna arte e ambiente, annuisce felice mentre i suoi allievi fanno a gara per riempire i sacchi neri della spazzatura sulla spiaggia: «Devono capire che possono rendere il mondo migliore, che le loro opinioni contano e possono “contagiare” i genitori. Ad esempio, raccolgono l’olio utilizzato per cuocere a casa, noi lo vendiamo e reinvestiamo i soldi nella scuola». Quindi mostra fiera le cannucce «alternative» fatte in classe, con gli spaghettoni ziti cotti in forno.
Un ponte verso l’Oriente Il Parlamento europeo ora ha alzato ancor di più l’asticella, con una nuova direttiva che impone entro il 2021 il bando di una serie di articoli in plastica monouso, come le cannucce, ed entro il 2029 di recuperare il 90% delle bottiglie di plastica. Per Cipro la strada è lunga. Si ricicla poco più del 20 per cento dei rifiuti (contro il 44% della media europea), i sette «green spot» per la raccolta differenziata sono gestiti da privati e solo all’inizio di quest’anno, dopo innumerevoli rinvii e sotto la minaccia di una pesante multa da Bruxelles, sono state chiuse le due discariche a cielo aperto fuori Nicosia e Limassol. «Cipro è in cima a tutte le classifiche europee per quantitativo per capita di rifiuti. Però non è che ne produciamo di più di voi italiani o dei tedeschi; è solo che qui non vengono processati come in altri Paesi – spiega l’economista George Kassinis, che insegna strategia e sostenibilità alla (nuovissima) Università di Cipro —. Il riciclo è su base volontaria. Se io decido di buttare l’immondizia senza differenziarla, la municipalità la raccoglie a un costo minimo rispetto al costo ambientale che sto causando, e sino a poco fa finiva tutto in discariche a cielo aperto. Insomma, non siamo una nazione “sviluppata” da un punto di vista socioculturale tanto quanto la nostra crescita economica lascerebbe supporre. Eppure siamo un’isola, un sistema chiuso: il luogo ideale per applicare i principi dell’economia circolare». Isolata e insulare, la Repubblica di Cipro ha un Pil pro capite (23.300 euro) superiore alla Grecia (17.800) e appena inferiore a quello dell’Italia (26.700), tutti parlano bene l’inglese. È considerato un Paese attraente e sicuro per i capitali stranieri, anche grazie a un’imposizione fiscale fra le più basse d’Europa, e la scoperta di giacimenti di idrocarburi off-shore preannuncia massicci investimenti.
Soprattutto, Cipro è fondamentale per l’Unione europea, anche se quella frontiera-non frontiera che la rende monca e resta presidiata dagli annoiati Caschi blu dell’Onu ancora le impedisce di entrare nell’area Schengen. «È molto vicina al Medio Oriente, ne conosce la mentalità: può essere un ponte verso quel mondo, e non solo per le questioni ambientali —, assicura il capo della Rappresentanza Ue a Nicosia, Ierotheos Papadopoulos —. Cipro oggi guarda molto più a Bruxelles che alla Grecia». Sull’isola in effetti tutti ringraziano l’Unione europea. «Perché ci dà assistenza tecnica e buoni esempi da seguire» (Kadis), «perché ci obbliga a rispettare la legislazione europea vincendo la nostra inerzia burocratica e sociale»(Kassinis), «perché abbiamo molto da imparare ancora», aggiunge il sindaco di Geroskipou, nel distretto di Pafos. E voi non avete nulla da insegnare all’Europa? Michalis Pavlides sgrana gli occhi azzurro cielo: «Cosa possiamo insegnare noi a quella gente…?». Abbastanza, visto che durante la stagione turistica l’inquinamento marino aumenta del 200%.
Le discariche del Medio Oriente Incontriamo Eleni sulla spiaggia selvaggia di Paramali. Americana di origini cipriote si è sposata qui anni fa e tornandoci con il marito russo ha deciso di fondare l’organizzazione Let’s make Cyprus Green e organizzare «pulizie» periodiche: «L’ultima volta c’erano 75 volontari. Abbiamo raccolto oltre 160 sacchi grandi di rifiuti. C’erano 73 pneumatici d’auto, 3 divani e anche un wc. Oltre la metà dei rifiuti avrebbero potuto essere riciclati». Studi in Mediterraneo mostrano che l’80 per cento dei rifiuti marini provengono da fonti terrestri e solo il 20 per cento da fonti marittime, come le barche. L’immondizia, però, non conosce frontiere né muri politici, soprattutto quando naviga trasportata dalle correnti. «Siamo l’unico Paese dell’Unione europea nel Mediterraneo orientale. Il che significa che mentre noi seguiamo le direttive Ue per la gestione dei rifiuti, i nostri vicini fanno ciò che gli pare – spiega Xenia Loizidou, presidente del board of director di Akti —. Esistono diverse discariche a cielo aperto vicino alla costa nei Paesi che si affacciano su quest’area, come il Libano o la Turchia, i loro rifiuti spesso finiscono in mare e le correnti li portano fino a qui». C’è perfino chi ha pensato di costruire un muro. Una nuova linea verde, questa volta in mare, ancor più lunga di quei 184 chilometri che spaccano Cipro. Non per fermare l’«invasore» o gli immigrati, ma i rifiuti altrui. Ma l’isola non ha più voglia di muri.