Corriere della Sera, 21 aprile 2019
Tensioni tra Macron e la Merkel
Di tutte le potenziali conseguenze della Brexit, ancorché incompiuta e passibile di clamorosi ripensamenti, una in particolare è passata inosservata o quasi nelle scorse settimane.
È un fatto che più la resa dei conti definitiva dell’Unione europea con Londra si avvicina, sia pure con l’illusione ottica dei ripetuti rinvii dell’ora X, più tra Berlino e Parigi emergono elementi di conflittualità, posizioni divergenti su questioni cruciali, perfino toni risentiti. Detto altrimenti, dietro la retorica di facciata del recente Trattato di Aquisgrana, l’asse franco-tedesco appare in crisi e i due Paesi guida dell’Europa lanciati su linee strategiche affatto divergenti.
Prove e indizi abbondano. È da diversi mesi che Francia e Germania non riescono a trovare una sola posizione comune. Parigi appoggia la tassa contro i giganti del web, Berlino è contraria. Parigi vuole la fine dell’embargo sull’esportazione d’armi all’Arabia Saudita, Berlino lo ha appena prorogato. La scorsa settimana al Consiglio europeo, Macron si è rifiutato di concedere un rinvio lungo a Londra sulla Brexit, costringendo Angela Merkel (chi era nella stanza l’ha definita «infuriata») a una mediazione controvoglia. Lunedì, poi, Parigi da sola ha votato contro l’apertura dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti, sostenuta con forza da Berlino, rompendo una tradizione che su questi temi vuole da sempre la Commissione sorretta da un mandato unanime per negoziare. Ultimo ma non ultimo, lo scontro aperto offerto a Washington in margine al vertice del Fondo monetario internazionale dai due ministri delle Finanze. Senza preavvisare il collega tedesco, Bruno Le Maire ha detto infatti che «i Paesi in buone condizioni di bilancio devono investire di più per contrastare insieme a noi il rallentamento dell’economia», citando la Germania, l’Olanda e la Finlandia. «L’economia tedesca cresce e non abbiamo alcuna recessione», gli ha risposto piccato Olaf Scholz. A chiudere l’argomento ci ha pensato la stessa cancelliera, facendo dire al suo portavoce: «Non vediamo alcuna necessità di un programma congiunturale». Commenta la Süddeutsche Zeitung: «Il tono francese è provocatorio, dannoso e farebbero meglio a smetterla».
Tensioni personali
La cancelliera era infuriata all’ultimo vertice Ue, il presidente si dice deluso da lei
Non va meglio sul piano personale fra i rispettivi leader. Chi ha incontrato Emmanuel Macron negli ultimi mesi, lo descrive «esasperato e deluso» da Angela Merkel, che non ha mai concesso nulla alle sue ambiziose proposte di riforma per l’Europa, dal bilancio per l’Eurozona al ministro delle Finanze europeo. E quando alla fine una risposta è arrivata, a firma non di Merkel ma di Annegret Kramp-Karrenbauer, la sua erede alla guida della Cdu, al danno di un no su tutta la linea, si è aggiunta la beffa della proposta di abolire Strasburgo come sede dell’Europarlamento: per i francesi un’offesa indelebile.
Cosa c’entri la Brexit con questa deriva che allontana progressivamente Berlino da Parigi e sembra inceppare in modo irreversibile il motore franco-tedesco, è presto detto. Il Regno Unito è stato per anni l’alibi dietro il quale la Germania ha potuto nascondersi per frenare la vocazione statalista e interventista francese. Londra in altre parole, con le sue posizioni irrevocabilmente liberiste, ha sempre fatto da correttivo, offrendo alla Germania uno schermo per resistere alle pressioni della Francia. Con la Brexit, o meglio già con il suo solo effetto di annuncio, non ci sono più filtri: se vuole bloccare le proposte di Parigi, Berlino deve metterci la faccia. L’amore è finito, la rotta di collisione inevitabile.
Il liberismo britannico
Londra era l’alibi dietro il quale Berlino si poteva nascondere per frenare lo statalismo francese
Una considerazione finale. Senza alcuna Schadenfreude, il danno è profondo e collettivo, la crisi tra Parigi e Berlino apre in teoria spazi immensi al ruolo europeo dell’Italia. Se solo avessimo un governo e una classe dirigente che pensassero all’Europa, si dessero un progetto strategico, non fossero eternamente preda dell’improvvisazione e del provincialismo.