Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2019
Biografia di Leonard Bernstein
Louis Bernstein nacque a Lawrence (Massachusetts) domenica 25 agosto 1918, e morì a New York domenica 14 ottobre 1990. Nella vita e nella professione fu “Leonard”, e “Lenny” lo chiamava anche chi non aveva mai ascoltato una sola nota diretta da lui o da lui suonata al pianoforte. Anzi, fu un volto celebre, irradiante energia, che conquistò anche alcuni per i quali la musica forte, erroneamente detta “classica”, fu sempre un libro chiuso, e i compositori e gli amanti di quella (questa!) musica furono strani animali alieni.
Divertiamoci disegnando una linea storica. Allineiamo quattro musicisti, originari dal vivaio ebraico-mitteleuropeo di artisti, filosofi, uomini di scienza, che quasi interamente trasmigrarono oltre Atlantico, insediandosi per lo più tra Manhattan e Beverly Hills. Ciò avvenne anche a salti, da una generazione all’altra. I primi due furono amatissimi, geniali e raffinati ma anche “popolari” compositori di musica forte e talora fortissima, variamente a contatto con il cinema. Il terzo fu un attore, danzatore e all’occasione cantante (nel musical, nel cinema) sull’onda di musiche meno forti ma eleganti e incisive. Il quarto fu lui, Lenny, pianista, musicologo, poi compositore ricchissimo d’ispirazione, significato morale e sapienza tecnica, magnifico didatta e animatore musicale, sommo direttore d’orchestra, e in quanto tale, passato alla storia come un “caso” di unicità stilistica. Erich Wolfgang Korngold (Brnó 1897 – Hollywood 1957) per il primo ventennio di vita visse ancora nella natale Moravia, prima di trasferirsi a Vienna, rifugiandosi infine in America e divenendo un factotum di musiche per cinema nella Fabbrica dei Sogni. Jacob Bruskin Gershowitz (New York 1898 – Los Angeles 1937) fu già, per l’anagrafe, George Gershwin quando nacque, americano di prima generazione ma di genitori immigrati. Ancora più americanizzati erano i genitori di Frederick Austerlitz (Omaha 1899 – Los Angeles 1897) che si chiamò Fred Astaire: suo padre Fritz, nato da ebrei mitteleuropei convertiti al cattolicesimo, era arrivato negli USA nel 1893, e sposò Johanna Geilus, di famiglia luterana originaria dalla Prussia orientale, la patria di Kant. Qui si stempera, con un ulteriore passo verso l’americanizzazione, il sangue ebraico ed europeo. Lenny Bernstein fu di qualche passo più avanti: più remota la Mitteleuropa, tutta statunitense la collocazione sociale e la formazione, ma fortissima la radice ebraica, come testimoniano alcune sue grandi opere d’ispirazione sacra, o, meglio, etica e filosofica, come Hashkivenu (1945), o lo splendido Chichester Psalm (1965), o le Dybbuk Variations (1980). In Radical Chic: That Party at Lenny’s, celebre e lunghissimo articolo di Tom Wolfe uscito nel 1970 sul «New York Magazine», c’è l’esilarante descrizione del salotto intellettuale “left” in cui si puntualizza con acrimonia se il cognome di Lenny si deva pronunciare “Bernstain” alla tedesca o “Bernstiin” all’anglo-yankee.
Nel 1982 fu pubblicata, di Leonard Bernstein, una doviziosa e multiforme raccolta di brevi saggi, memorie, improvvisazioni, il cui arco di tempo abbraccia 45 anni, tra i 17 e i 62 anni d’età dell’autore. Sono quattro parti: Juvenilia 1935-1939, Meditazioni postbelliche 1946-1957, Gli anni della Filarmonica di New York 1959-1967, L’ultima decade 1969-1980.
Il titolo originale del libro, Findings, è tradotto letteralmente (Scoperte) nell’edizione italiana curata da Giovanni Gavazzeni per Il Saggiatore. Il testo più antico, molto breve, è I libri del papà, lo svolgimento di un tema del diciassettenne in un’aula del Boston Latin School lunedì 11 febbraio 1935. In evidente contraddizione con la data, Bernstein attribuisce quel piccolo lavoro scolastico ai suoi 14 anni di età. L’ultimo testo nella cronologia è il discorso tenuto da Bernstein settantaduenne alla Johns Hopkins University venerdì 30 maggio 1980.
Sul tono e sull’orizzonte di questo vivacissimo e straordinariamente comunicativo libro, diamo la parola a lui stesso, a Lenny. Nessun riassunto o parafrasi oserebbe sostituirsi alla Prefazione, datata (mercoledì) 25 agosto 1982, suo sessantaquattresimo compleanno. «Sono commosso dal rispetto di molti scritti per mio padre e per i miei padri musicali, Copland e Koussewitzky (e per i miei antenati musicali Beethoven e Mahler)... curioso, il non avere documentato le mie emozioni durante l’Hitlerzeit (impropria ortografia: esatto sarebbe «il Hitlerzeit»). Forse l’ho fatto, ma le parole sono andate perdute». E chiede scusa per altre lacunae: «Hiroshima, altro trauma mondiale; il fenomeno Boulez-Stockhausen, l’infame era McCarthy. Mi spiace che questo non sia un altro tipo di libro, ma il prossimo sarà meglio».