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 2019  aprile 21 Domenica calendario

Leonardo ha copiato dai testi sbagliati di Vitruvio

Forse non tutti sanno che i classici che leggiamo e anche molti testi in volgare, Divina Commedia compresa, sono testi “critici”. Si tratta, cioè, di opere tramandate da pochi o molti esemplari manoscritti (testimoni) – ben 580 per la Commedia! – ciascuno con varianti o errori che i filologi, con un grande lavoro di confronto (collazione), restituiscono in una forma quanto più prossima a quella licenziata dall’autore. Questo significa che solo l’autore, Dante per esempio, e noi, oggi, abbiamo avuto la possibilità di avere di fronte lo stesso testo, conosciuto, invece, nei secoli attraverso codici tutti diversi.
Gli errori sono dovuti ai copisti, agli amanuensi (laici o monaci), spesso distratti o stanchi o che non provavano nessun interesse per l’opera che stavano trascrivendo.
Anche il De architectura di Vitruvio che usiamo abitualmente (ma se ne conoscono una ottantina di codici che vanno dal IX al XVI secolo) è un testo critico, utile soprattutto a chi si occupa di Vitruvio e della sua opera, di lingua latina, di letteratura tecnica di età augustea, di archeologia ellenistica. Non è granché d’aiuto, invece, a chi deve studiare una questione, che so, medievale o rinascimentale. In quel caso il testo critico non fa testo, anzi, può fare danno.
Il celeberrimo e spettacolare foglio di Leonardo raffigurante il cosiddetto Uomo vitruviano (Venezia, Gabinetto dei disegni e stampe, Gallerie dell’Accademia, n. 228), databile al 1490 circa, non reca solo un disegno, ma anche un testo che riguarda quei passi del Terzo Libro del De architectura nei quali Vitruvio parla del fatto che un uomo dalle membra armoniose e proporzionate, disteso a terra, sia inscrivibile in un quadrato se sta a piedi uniti e solleva le braccia tese all’altezza delle spalle, mentre è inscrivibile in una circonferenza se sta a gambe divaricate e solleva ancor più le braccia.
Sembrerà incredibile, ma tutti coloro che si sono occupati del foglio veneziano, soprattutto per studiare il disegno, verificarne le implicazioni proporzionali, investigarne la genesi grafica, hanno confrontato il testo vitruviano riportato da Leonardo con un testo critico attuale del De architectura, un testo che Leonardo non poteva assolutamente conoscere. Per paradosso, sarebbe come pretendere che Galileo conoscesse la teoria della relatività di Einstein: un non senso. 
Il testo leonardiano nella parte superiore del foglio riporta dati “metrici” che riguardano allo stesso tempo le unità di misura romane i cui nomi rinviano a parti del corpo umano (dita, palmi, piedi, gomiti) e l’altezza di un uomo. Leonardo cita Vitruvio affermando che 4 dita fanno un palmo, 4 palmi equivalgono a un piede, 6 palmi fanno un cubito, 4 cubiti l’altezza di un uomo e anche 24 palmi equivalgono all’altezza di un uomo. Dunque, se 4 palmi valgono un piede, 24 palmi saranno pari a 6 piedi. E ancora: se 24 palmi sono pari a 4 cubiti, vuol dire che 4 cubiti sono 6 piedi.
Mi si perdoni la noia dei calcoli. È assodato, perciò, che Leonardo, seguendo Vitruvio dice che il piede è la sesta parte dell’altezza di un uomo.
Leonardo non sa fare bene le equivalenze. L’unico calcolo a lui dovuto (e non in Vitruvio) riguarda l’espressione che dice che 4 cubiti fanno un passo. Purtroppo è sbagliato: 4 cubiti sono un passo e un quinto di passo.
Ci sono altre dolenti note. Leonardo non conosce il latino, dunque si fa tradurre Vitruvio da qualcuno o ne orecchia il senso. Usa più testi... sbagliati. Se ne ha immediato riscontro nella parte finale del brano riportato al di sotto del disegno, dove si dice, pressappoco, che la testa di un uomo è divisibile in tre parti uguali, il primo terzo va dal mento alle narici, il secondo dalle narici alle sopracciglia, il terzo e ultimo dalle sopracciglia alla sommità del capo. Bene: Leonardo pone il secondo terzo pari alle orecchie. Ho rintracciato codici vitruviani guasti (ma lo sono tutti, quale più quale meno) dove invece di nares(narici) si legge aures (orecchie). Ecco spiegata l’espressione sbagliata di Leonardo, ma sbagliata rispetto a un testo “esatto” di Vitruvio.
Non solo, non comprendendo il testo e ricorrendo almeno a due diversi manoscritti latini, Leonardo scrive per due volte la stessa espressione con due diverse dimensioni: «Dal di sopra del petto alla sommità del capo sarà una sesta parte dell’uomo»; «dalle tette al di sopra del capo sarà la quarta parte dell’uomo».
Leonardo non può scegliere tra l’una espressione e l’altra, dunque le riporta ambedue senza sciogliere il nodo. Colpa dei codici guasti. Però neppure Leon Battista Alberti, latinista d’eccezione, avrebbe potuto, perché non era un filologo.
Viene da un codice guasto anche l’espressione «il piede sarà la settima parte dell’uomo». Leonardo non può scegliere neppure questa volta, anche se nel brano che è al di sopra del disegno, per due volte, citando Vitruvio, ha affermato che il piede è la sesta parte di un uomo. E qui i commentatori hanno ricamato molto sulla grandissima, epocale novità correttoria del Genio: Leonardo più che Vitruvio conosce bene il corpo umano e sa che il piede (vero) non può essere un sesto dell’altezza di un uomo, sarebbe un piedone, dunque corregge. 
Tutti hanno pensato che molte di quelle differenze fossero critiche di Leonardo a Vitruvio, correzioni e non, invece, errori. La “colpa” non è di Leonardo, ma dei suoi commentatori, come quando, di fronte ai lunghi elenchi lessicali del Codice Trivulziano si credette a un Leonardo facitore di un vocabolario e non di uno che prendeva nota di termini dotti e desueti da testi che andava via via leggendo, per rendere più ricco e forbito il proprio eloquio.