Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2019
Gli investimenti delle città ripartono solo al Nord
I Comuni in crisi sono pochi. Ma sono grandi. E da Roma a Reggio Calabria, da Torino a Napoli, i loro dossier possono rappresentare l’ultima goccia nel vaso della crisi di governo. Ma mentre la politica nazionale sembra affondare sotto i colpi incrociati, tanti amministratori locali stanno sentendo gli effetti degli investimenti che ripartono dopo lunghissimi anni di gelo che hanno ridotto dai 20,3 miliardi del 2004 ai 9,5 miliardi del 2018 la spesa in questo settore di Province e Comuni. Per ritornare ai livelli pre-crisi la strada è ancora lunghissima. Ma il fenomeno c’è, fotografato da numeri importanti per due ragioni. Per la vita quotidiana delle economie locali, cioè dei cittadini che vivono strade, piazze ed edifici pubblici su cui questi investimenti si scaricano e delle imprese che lavorano con gli enti; e per la finanza pubblica, che alla ripresa della spesa in conto capitale sul territorio affida larga parte della mini-crescita tracciata nel Def.
I numeri, allora. Quelli nei grafici in pagina, elaborati sulla base del monitoraggio di cassa della Ragioneria generale, dicono due cose. Per capirle bisogna guardare ai Comuni, dove passa il 70% della spesa complessiva per gli «investimenti fissi» della Pa territoriale. Nei primi tre mesi dell’anno il ritmo è cresciuto del 13,8% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Ma il traino, e questo è il secondo aspetto importante, è tutto al Nord. I Comuni delle regioni settentrionali oscillano fra il +13,8% di Triveneto ed Emilia Romagna e il +17,9% di Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria, mentre a Sud si incontra un modesto +4,8% che fa il paio con il +5,4% di Sicilia e Sardegna. Stessa situazione nelle Province e nelle Regioni, dove il dato meridionale è addirittura negativo. I Comuni del Centro totalizzano un rotondo +26,9%, ma bisogna stare attenti. Il salto è tutto a Roma, e senza la Capitale l’indicatore si fermerebbe a +3,9%. Tra gennaio e marzo infatti il Campidoglio ha pagato investimenti per una somma cinque volte più grande rispetto a quella dell’inizio dello scorso anno. Ma il boom è solo apparente, perché nei primi mesi 2018 i pagamenti furono al minimo storico.
Quando si guarda alle singole città, i dati sono più difficili da leggere per le tante variabili che fanno oscillare la cassa su una base di calcolo così ristretta. Ma anche per questa via emerge la fatica della Capitale, che nonostante l’accelerazione nei primi tre mesi dell’anno ha pagato investimenti per 25,7 euro ad abitante. A Milano nello stesso periodo la spesa pro capite è stata quasi il triplo, 69,8 euro. E a Modena, la regina degli investimenti fra le prime 20 città italiane, con 154 euro ad abitante si viaggia a una velocità sei volte superiore. A chiudere la graduatoria è Taranto, dove gli euro spesi per ogni residente sono solo 6,4.
Nel dato annuale, il 2018 migliore si incontra invece a Trieste, con 461 pro capite, seguita da Firenze con 329,5. L’anno scorso, il derby Milano-Roma è finito 6 a 1 per il capoluogo lombardo: Palazzo Marino ha pagato investimenti per 272 euro a residente, sei volte tanto i 44,8 euro di Roma, ultima fra le 20 grandi città.
Nel Mezzogiorno va in controtendenza Napoli, che con 103,4 euro ad abitante quest’anno e 298,6 lungo tutto il 2018 si colloca ai livelli delle città più attive. Il dato si spiega però soprattutto con la lunga eredità dei lavori per la chiusura dell’anello fra il Centro Direzionale e Capodichino della linea 1 della metropolitana, finanziati dal ministero delle Infrastrutture in base a una legge del 2003 (la 98 del 9 agosto) e a una delibera Cipe di dieci anni dopo (la n.88/2013). Queste opere storiche, insieme alla riqualificazione della Mostra d’Oltremare alimentata dal Fondo europeo di sviluppo regionale nella programmazione 2007-2013, coprono quasi integralmente la colonna degli investimenti nel bilancio del Comune di Napoli.
Per cercare gli effetti strutturali dell’evoluzione delle regole italiane, del resto, è più utile allontanarsi dai grandi centri. E guardare ai dati aggregati della rete dei Comuni medi e piccoli. Soprattutto al Nord, appunto: dove i bilanci hanno i mezzi per raccogliere i benefici delle due mosse realizzata sui vincoli di finanza pubblica.
La prima risale al 2017, quando il vecchio Patto di stabilità è andato in pensione per far posto al pareggio di bilancio. Questo ha allargato gli spazi per dedicare risorse agli investimenti, ovviamente dove le risorse ci sono: ma la strada che porta alla spesa effettiva è spesso lunga, e gli effetti cominciano a farsi sentire solo ora. Il cambio di passo arriva a ottobre scorso, quando è stato avviato anche lo sblocco degli avanzi di amministrazione reso poi strutturale dalla manovra, che ha aperto spazi importanti negli enti che hanno soldi in cassa. E ha già acceso pagamenti soprattutto per le piccole opere già pronte. Ssecondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, la nuova regola può liberare in Regioni ed ed enti locali 4,1 miliardi in tempi relativamente brevi, in una geografia che ancora una volta guarda a Nord.
Più democratica la distribuzione dei fondi riservati ai piccoli Comuni con i 400 milioni della legge di bilancio, a cui si dovrebbero aggiungere 500 milioni per risparmio energetico e mobilità sostenibile con il decreto crescita atteso martedì in consiglio dei ministri nonostante le battaglie nella maggioranza. Per il calendario stretto che le caratterizza, entrambe le misure dovranno alimentare i pagamenti nella seconda parte dell’anno: rendendo strutturale una ripresa degli investimenti che almeno negli enti locali sarebbe al riparo dalle incertezze della politica.