Avvenire, 21 aprile 2019
Storia di un trapianto padre-figlio
È una notizia così pasquale che più pasquale non si può. Una resurrezione. Nella forma umana in cui una resurrezione può avvenire, e cioè nella forma della lentezza: prima una inarrestabile perdita della vita, poi una lenta risalita verso la pienezza della vita. Sto parlando del bambino anglo-italiano Alex Montresor, figlio d’italiani, ma vivente in Inghilterra, che ha due anni e s’è scoperto che ha una malattia genetica inguaribile, per la quale l’unico rimedio possibile è un trapianto di cellule da organismo compatibile. Fu lanciato un appello, da tutto il mondo si presentarono ai centri di prelievo della saliva a migliaia (dalla saliva si poteva risalire alla compatibilità delle cellule), ma nessuno risultò compatibile. L’unico compatibile, a metà, rimaneva il padre, e dunque fu lui il donatore delle cellule staminali, che dopo adeguato trattamento furono innestate nel piccolo, quattro mesi fa. E ora, all’ultimo controllo, risulta che hanno svolto in pieno la loro funzione: hanno sostituito interamente le cellule malate, e l’organismo del piccolo può dirsi sano (stavo per scrivere ’sanificato’) al cento per cento. Il piccolo può rientrare a casa. La vita è tornata, riparte dal suo inizio.La madre dice ai giornali: ’È come averlo partorito di nuovo’. ’Partorito’ è un termine che rimanda al ruolo della donna. Le donne, quando si tratta di vita che comincia o ricomincia, tendono immediatamente ad attribuirsi un ruolo esclusivo. Ma qui ha avuto un ruolo anche il padre, o no? Se lui dice che è come averlo generato di nuovo, dice qualcosa d’improprio? Io penso di no.Dicevo, la lentezza. È una resurrezione che ha richiesto mesi. Le resurrezioni che ci raccontano i Vangeli sono fulminee. Come quella, decisiva,che si ricorda oggi: il morto si alza e se ne va, gli amici che vengono per trovarlo non lo trovano più. Quelle resurrezioni mostrano potenza. La potenza dell’atto e delle parole che lo raccontano. Non conosco espressione più potente della fanciulla risorta raccontata nei Vangeli: «Puella, tibi dico, surge; et surrexit puella, et ambulabat, erat enim annorum duodecim». Quell’«enim» è esplicativo, se muori e risorgi a 12 anni cammini subito. Da noi, un ritorno alla vita è microscopico e c’impiega mesi o anni, nei Vangeli è titanico e fulmineo. Microscopico ma continuo è questo del bambino italo-inglese. È la sua seconda nascita. ’Nati due volte’ è il titolo del libro più bello del mio amico Giuseppe Pontiggia, e indica il padre di un bambino nato con problemi, e deve anche lui rinascere con gli stessi problemi per convivere col figlio e aiutarlo a vivere. È difficile parlare della rinascita. È la difficoltà per eccellenza. È difficile parlare di questo bambino che ricomincia a vivere. È difficile parlare del padre che gli ha donato le cellule. È il bene. È difficile parlare del bene. Non è questione di grandezza. Se mi mandano a Cape Canaveral e devo descrivere la partenza di un razzo gigantesco, io ci provo. Ma se mi mandano in una sala chirurgica e devo descrivere un trapianto di cornee donate, non so da dove cominciare. Leggo questa notizia di un bambino che era incamminato verso la morte e invece l’amore del padre lo riporta verso la vita, e oggi, nel tempo di Pasqua, vien proclamato guarito al cento per cento, e provo una gioia che non ha espressione. Pare amore perfetto, di padre con figlio, e dunque di figlio con padre.Litigherà mai, quel figlio con quel padre? Ma certamente: la vita che riottiene è completa per questa libertà, se non avesse questa libertà non sarebbe completa. Il piccolo è tornato quel che era. E sarà quel che è nato per essere.