Corriere della Sera, 20 aprile 2019
L’altro Netanyahu, Iddo. Intervista
Iddo Netanyahu non è soltanto il fratello di Benjamin detto Bibi, un premier che ha vinto cinque elezioni, e di Jonathan detto Yoni, caduto alla testa del commando che liberò oltre cento ostaggi a Entebbe. È uno scrittore tradotto nel mondo, autore di commedie messe in scena a Mosca e a New York. Ed è una voce da ascoltare perché denuncia «un certo conformismo»: in Israele l’egemonia politica è della destra, ma nella percezione europea l’egemonia culturale è ancora della sinistra; e questo non aiuta a capire cosa accade.
Netanyahu, com’era la vostra famiglia?
«Papà era uno storico. Ha studiato l’Inquisizione spagnola».
Le radici dell’antisemitismo.
«L’antisemitismo è molto più antico. Precede l’impero romano, è attestato nell’età ellenistica. Poi passò in Occidente e da qui in una parte dell’Islam. Non è certo finito con la sconfitta del nazismo. È un virus che ha contagiato ogni nazione, financo l’Australia».
Perché?
«I motivi sono molti. Non è solo un fatto religioso: il nazismo era anticristiano. Purtroppo è esistito anche un antisemitismo cristiano, basato su una rilettura anti-giudaica dell’antico Testamento».
Non è un fenomeno sconfitto?
«Certo che no. Anzi, in tempi di crisi l’antisemitismo si fa più virulento. Si riaffaccia in Germania. In Francia, da cui molti ebrei se ne sono andati. Si manifesta anche a sinistra, ad esempio nel Labour di Corbyn».
Putin però coltiva buoni rapporti con Israele.
«Putin ha un atteggiamento amichevole. Non è certo antisemita. Ma proprio la Russia è esemplare di come l’antisemitismo possa mettere radici. Un tempo non esisteva. È sorto con l’idea degli ebrei che accumulano ricchezza e influenza finanziaria, editoriale, politica. È culminato in pogrom terribili. Ma oggi c’è Israele. Noi ebrei possiamo essere odiati; non sterminati».
Israele è ancora in pericolo?
«Certo. L’Iran vuole l’atomica per distruggerci. Ma anche i palestinesi non hanno mai rinunciato alla distruzione di Israele. È questo che i leader laburisti non avevano capito».
Per questo la sinistra in Israele è crollata?
«È crollata a causa degli arabi. Quando ci furono gli accordi di Oslo tra Rabin e Arafat, nel 1993, la maggioranza degli israeliani li approvava. Ma dall’altra parte non c’era un’autentica volontà di pace. Barak arrivò a offrire praticamente tutta la West Bank (Cisgiordania, nda) e Gerusalemme Est. La risposta furono violenze, bombe, attentati suicidi. Poi Sharon si ritirò da Gaza. E Gaza è diventata una base per attaccarci».
Tra Rabin e Sharon c’è il primo governo di Benjamin Netanyahu, dal 1996 a 1999. Suo fratello ha cercato davvero la pace?
«Certo che sì. Ma ha capito che non era possibile. E con lui l’ha capito il popolo. Gli intellettuali, no».
Abraham Yehoshua sostiene di non credere più alla soluzione «due popoli due Stati», ma a un unico Stato in cui ebrei e arabi convivano. È possibile?
«No. Tra vent’anni, forse. Oggi no. La gente non lo accetterebbe. Né la nostra, né la loro. Siamo radicalmente differenti. Israele è una jewish nation, una nazione ebraica».
Ma esistono gli arabi israeliani.
«Certo. Però sono minoranza. Dove gli ebrei sono maggioranza, garantiscono la sicurezza degli arabi. Ma nella West Bank ci sono luoghi dove gli arabi sono la netta maggioranza. Là oggi gli ebrei sopravvivono solo grazie alla protezione dell’esercito. Altrimenti sarebbero aggrediti».
Perché Israele non si ritira da quei territori?
«Sarebbe un suicidio. Finirebbe come a Gaza. Ci consegneremmo ai terroristi. Ma non dimentichi che i palestinesi hanno un’ampia autonomia. Un parlamento, una polizia, una scuola».
L’Iran è un pericolo?
«Certo che lo è. Il khomeinismo è orribilmente antisemita. E vuole la Bomba. È una guerra che non possiamo permetterci di perdere».
Come combatterla? Anche bombardando gli impianti iraniani?
«Sono il fratello del primo ministro. Non ne abbiamo mai parlato, e in ogni caso non le risponderei».
Lo storico Benny Morris sostiene che Bibi cadrà entro un anno per via dei processi.
«Non lo so. Non si sa neppure se ci saranno i processi. So dirle questo: sono accuse ridicole».
Sono accuse imbarazzanti. I regali…
«I regali è una storia ormai caduta. La questione verte su presunte pressioni di mio fratello per avere una stampa favorevole; quando tutti sanno che la stampa israeliana è in prevalenza di orientamento liberal, e quindi molto critica con lui».
L’accusa è anche di aver favorito una società di telecomunicazioni che possiede un sito di notizie.
«Il sito Walla!, notoriamente anti-Likud. È un caso unico nella storia della giurisprudenza, frutto di una straordinaria creatività giuridica. Gli avvocati stranieri che se ne sono occupati non si raccapezzavano. Qual è il politico che non interagisce con la stampa? Se venisse usato lo stesso criterio negli altri Paesi, ci sarebbero retate di politici e primi ministri».
Lei ha scritto due libri su Entebbe. Come ricorda Yoni Netanyahu?
«Nostro padre si era trasferito in America, e noi l’avevamo seguito. Tutti e tre decidemmo di tornare in Israele per fare il servizio militare, tutti nella stessa unità speciale».
Ma a Entebbe c’era solo Yoni.
«Sono le nostre regole. Mai due fratelli in una missione ad alto rischio».
Ottomila chilometri di volo radente per sfuggire ai radar, un’operazione tuttora studiata dall’intelligence di tutto il mondo.
«La difficoltà è che in guerra, appena entri in una stanza, spari. Se devi liberare più di cento ostaggi, prima devi guardare, e solo dopo sparare. Questo dà al nemico un enorme vantaggio. Mio fratello disse ai suoi uomini: “Ricordatevi che voi siete soldati migliori di loro”, dei terroristi arabi e tedeschi, degli ugandesi che li proteggevano. E i suoi uomini si sono dimostrati migliori».