La Stampa, 20 aprile 2019
Intervista a Rita dalla Chiesa
«Finalmente arrivò il biglietto del volo per Palermo», ricorda Rita dalla Chiesa. Poco prima l’impiegato dell’aeroporto le aveva risposto che gli aerei erano tutti pieni perché «ieri sera hanno ucciso Carlo Alberto dalla Chiesa». E la 34enne Rita, timida dagli occhi azzurri, fu costretta a dichiarare, creando il silenzio intorno a sé: «Il generale dei carabinieri era mio padre».
È la prima volta che la giornalista e conduttrice tv, figlia del neo nominato prefetto di Palermo ucciso il 3 settembre del 1982, racconta in dettaglio lo choc per quella morte. Destinata a diventare un volto noto del piccolo schermo, legato al popolarissimo e longevo Forum, ha ricostruito tutti i particolari di quella sera drammatica nella bella autobiografia Mi salvo da sola (Mondadori). La fine violenta del generale, assassinato dagli uomini di Totò Riina assieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro, segnò profondamente l’esistenza della figlia. Giornalista disimpegnata e alle prime armi, si trasformò in una speciale e seguitissima testimonial della lotta alla mafia.
Un cambiamento di lavoro repentino?
«Non proprio. Papà nei momenti di tenerezza mi chiamava “topino” ma anche “la ribelle”. La vita in caserma, sempre sorvegliata, era difficile. Da adolescente uscivo con una gonna lunga e sotto la minigonna. Fin dagli anni in cui a Torino papà combatteva contro le Br si viveva in un clima di terrore. Mi aveva insegnato a guidare guardando continuamente nello specchietto retrovisore per vedere se qualcuno mi seguiva. Mi innamorai di Bruno Lauzi che mi dedicò la sua canzone Ti ruberò. Ero una prigioniera ma ho amato molto papà che, anche dopo la morte, ha continuato a essere il mio punto di riferimento».
È ancora una ribelle?
«Sì. Nel suo diario mio padre aveva annotato che prima di partire per Palermo era andato a salutare Giulio Andreotti. E gli aveva detto: “Se sarà il caso non avrò riguardo per gli uomini della sua corrente”. Andreotti aveva risposto senza mezzi termini che chiunque gli si fosse messo contro sarebbe uscito di casa con i piedi in avanti. Dovevo combattere per fare chiarezza sulla morte per tanti versi oscura di papà. Separata e con una bambina, ero però troppo sola per questo impegno antimafia».
Chi l’ha aiutata?
«Quando mi telefonò Fabrizio Frizzi, incontrato in un programma tv, non pensavo di uscire con lui. A farmi cambiare idea è stata la mia inclinazione ad andare controcorrente. Ho pensato che era stato mio padre a mandarmi questo regalo per farmi recuperare la vita che non avevo vissuto. Ho smesso di preoccuparmi per il fatto che fosse più giovane di me di dieci anni e ho ritrovato la leggerezza. Uscivo con lui in vespa a notte fonda perché Fabrizio lavorava alla radio, il suo grande amore, e andavamo all’alba a mangiare i cornetti a Ponte Milvio. Ero spensierata ma non dimenticavo l’eredità morale di papà. E Fabrizio è stato sempre al mio fianco: era con me ai maxiprocessi, alle fiaccolate in memoria delle vittime della mafia, mi accompagnava a fare volantinaggio».
Il divorzio l’ha segnata?
«L’incontro con Fabrizio aveva rappresentato una specie di tappo al tracimare dell’angoscia per papà, emersa drammaticamente con la fine del nostro matrimonio. Ma c’era mia figlia e ho ritrovato amici come Mara Venier. Parecchio tempo dopo ho dovuto affrontare una nuova prova: la malattia e la morte di Fabrizio».
Il suo impegno pubblico è venuto meno in queste circostanze personali dolorose?
«Ho continuato a essere una ribelle. Detesto i salotti della sinistra radical chic di Roma. Ma ho rifiutato quando Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, mi ha proposto di candidarmi come sindaco della Capitale. Sono stata al suo fianco solo nel discorso di apertura della campagna elettorale. Sul palco mi sono detta: adesso provoco. E ho parlato di unioni civili, di diritti omosessuali, di accoglienza. Sono stata presa a male parole. Così è finito il mio bagno nella politica. Mi considero una scheggia trasversale. Oggi le mafie dilagano da Roma a Milano a Palermo. Mio padre mi ha passato il testimone e io non lascerò il campo».