La Stampa, 20 aprile 2019
Pinuccia Montanari spiega chi comanda davvero a Roma
Roma in mano a una lobby opaca, che indirizza la sindaca Raggi. Grillo impotente. I dissidi interni. Le filiere di potere. Pinuccia Montanari racconta la sua verità. Chiamata a Roma a fine 2016, se ne è andata l’8 febbraio, dopo che la giunta Raggi ha bocciato il bilancio di Ama, l’azienda comunale dei rifiuti, e poco prima del licenziamento del presidente, Lorenzo Bagnacani, che ha depositato gli esposti e gli audio della sindaca su cui indaga la Procura.
Che effetto le ha fatto ascoltarli?
«In pubblico la Raggi ci sosteneva. In privato, come dimostrano gli audio, mostrava un’altra faccia».
Bagnacani parla di pressioni. Le ha subite anche lei?
«Su di me non potevano esercitarle. Ma ho assistito a quelle di Franco Giampaoletti, direttore generale del Comune, su Rosalba Matassa, ottima dirigente del mio assessorato, perché cambiasse il suo parere positivo al bilancio di Ama».
La dirigente come reagì?
«Era disperata. Alla fine si è dimessa. Il suo successore ha poi fatto quello che Giampaoletti voleva».
La Raggi obietta: anche il collegio sindacale di Ama aveva dato parere negativo.
«Un’informazione inesatta. In un primo momento aveva dato parere favorevole. Ma a distanza di mesi, e nonostante fosse decaduto secondo pareri giuridici indipendenti e autorevoli, lo stesso collegio ha ribaltato il parere. Una vicenda non solo sorprendente e rarissima, ma anche inquietante».
In che senso?
«Durante la giunta dell’8 febbraio chiesi a Giampaoletti se era vero che quel parere era stato cambiato dopo che lui aveva preso un caffè col presidente del collegio sindacale, Marco Lonardo. Lui confermò. E qui mi fermo, perché c’è un’inchiesta penale in corso».
Che altro successe in quella giunta, l’ultima per lei?
«Giampaoletti mi mostrò per la prima volta la delibera che bocciava il bilancio dell’Ama: “Assessore, c’è da firmare”. Una scorrettezza assoluta».
E gli altri assessori?
«Margherita Gatta condivideva le mie perplessità. Ma votò a favore dopo che Marcello De Vito (allora presidente dell’Assemblea capitolina, poi arrestato per corruzione, ndr), le si avvicnò sussurrandole qualcosa all’orecchio».
Fu stupita?
«Solo in parte. Negli ultimi mesi tra Raggi e De Vito c’era totale sintonia».
Poi cosa successe?
«Io votai contro e mi dimisi. Grillo, che avevo informato perché era stato lui a chiedermi di fare l’assessore a Roma nel 2016, mi disse che sulla mia rimozione erano irremovibili e lui non poteva essere d’aiuto».
Sa se Grillo ne ha parlato con la Raggi?
«Certo, l’ha anche tacciata di ingratitudine nei miei confronti. Poi mi ha detto che avevo fatto bene ad andarmene».
Per la sua esperienza, che ruolo ha Grillo nel M5S?
«Ne custodisce i valori, ma non può far nulla. Ha scarsa voce in capitolo, almeno su Roma».
Nei mesi precedenti aveva provato a parlare con la Raggi?
«Era totalmente inaccessibile, schermata dai suoi collaboratori».
Come comunicavate?
«Con il sistema delle chat. Un meccanismo terrificante che, all’occorrenza, serve a colpire implacabilmente le persone che dissentono, per delegittimarle».
Chi è Giampaoletti, con cui lei si era scontrata in Campidoglio?
«Direttore generale del Comune e più stretto collaboratore della sindaca. Come Lemmetti, portato a Roma dall’avvocato Luca Lanzalone, che nel suo ufficio lasciava la valigia ogni volta che passava da Roma».
A Genova vi eravate incrociati?
«Con Giampaoletti no. Con Lanzalone una volta. L’aveva chiamato il segretario generale del Comune per una consulenza sull’azienda trasporti».
Chi era il segretario generale?
«Mariangela Danzì, attuale capolista del M5S alle Europee nel Nord-Ovest. Altro personaggio importante. Molto amica di Pietro Paolo Mileti, segretario generale del Campidoglio, a sua volta legatissimo a Giampaoletti. Stessa, unica filiera».
Ovvero?
«Lanzalone, Lemmetti, Giampaoletti. Gli ultimi due hanno brindato alla buvette del Campidoglio la sera delle mie dimissioni».
Lanzalone l’ha poi ritrovato a Roma?
«Ce lo presentarono Bonafede e Fraccaro come un giurista a nostra disposizione».
Il suo ruolo nasce dal rapporto con Grillo?
«Non mi risulta. Ho ragione di credere che nasca a Milano, non a Genova».
Che idea si è fatta del licenziamento di Bagnacani?
«Vergognoso, come il mio isolamento. Cacciati perché portavamo avanti i valori del M5S».
Chi prende le decisioni in Campidoglio: la sindaca?
«No. Mi sono fatta l’impressione che a comandare sia una lobby opaca. Lei non conta più molto, a quanto vedo. Pare eseguire le direttive delle persone che la circondano».
Ama è un’azienda decotta?
«Sciocchezze. È solida e ricca. Dal punto di vista industriale può essere una macchina da guerra. Ma Lemmetti e Giampaoletti avevano altre mire».
Quali?
«Non lo so. Ma certo fa gola un business miliardario garantito per i prossimi 15 anni».
E quindi?
«Se paralizzata e sabotata, Ama può essere poi essere spolpata».
La Raggi dice: Roma era nella merda, per questo ho cacciato Bagnacani.
«Sciocchezze. Tutto quello che abbiamo fatto, con fatica, è stato condiviso con lei. E poi per strada la merda, per usare il suo linguaggio, c’è anche ora che lei si è liberata di noi. Ma non se ne parla più».
Roma è un capitolo chiuso?
«Scriverò un libro. Titolo: Assesso’ nun se po fa’».