Libero, 20 aprile 2019
L’ambientalista Franzen contro gli ecoattivisti
Mentre quando per Minimum Fax uscì, a fine 2018, la raccolta di interviste e saggi di David Foster Wallace Un antidoto contro la solitudine, il libro passò abbastanza inosservato, ora è più difficile ignorare che cosa sta succedendo ad alcuni fra i maggiori scrittori occidentali – e con questa frase escludiamo già quelli italiani. I narratori si stanno spostando, quasi in massa, come i grandi bovini si muovono verso nuovi corsi d’acqua quando i fiumi seccano. Gli scrittori non sono tanti quanto i bovini, il segno che lasciano in terra è meno evidente. Ma è profondo: prendendosi una pausa dalla finzione del romanzo, dal mondo delle allegorie e del simbolo, si stanno girando verso l’osservazione della società, e quindi verso la scrittura saggistica. Non che non sia sempre accaduto, ma fa un certo rumore che a cambiare il loro punto di osservazione siano, a stretto giro di uscita, Jonathan Franzen, Martin Amis, Bret Easton Ellis. Questo è un buon segno solo per i loro lettori, ma per tutti gli altri esseri umani no: quando gli scrittori si ribellano all’abbraccio del consenso, è un campanello d’allarme. In particolare perché due di essi sono americani e uno, Amis, inglese. Nel mondo anglosassone, al contrario dell’Italia (dove gli intellettuali sono molto impegnati a piacere e a trovare una sedia su cui posare il loro pensiero), il compito, perlomeno ideale, dei pensatori è di sorvegliare il potere e abbaiare alla sua tendenza a conservare solo se stesso, e a produrre effetti sulla società solo se accidentalmente coincidono con questo suo unico interesse. Questa è la natura umana, e, a causa di ciò, la libertà e l’anarchia degli artisti è in qualche modo contro natura. Ma preziosa. Gli uomini sono pecore e qualcuno che abbaia è indispensabile.
I TRE SAGGI
Così, torniamo ai libri: tutti per Einaudi, sono usciti La fine della fine della terra di Jonathan Franzen, L’attrito del tempo di Martin Amis e, atteso da noi in autunno, White esordio in saggistica di Bret Easton Ellis. Ognuno di questi scrittori, analizzando il pernicioso livellamento intellettuale verso il basso della contemporaneità dominata dal potere gassoso dei like, dalla ferocia della propaganda e dalla dolosa incuria dei governanti, ha anche in uggia alcuni politici che cavalcano il consenso: Ellis non ama Bernie Sanders, Amis è critico con Jeremy Corbyn, due portavoce del nuovo socialismo e di una mediocrità che non ha una vera meta ma molte metastasi. Ne scriveremo nelle prossime settimane, perché ora diciamo di Franzen. Lo scrittore americano, diventato celebre con il romanzo Le Correzioni, è un abitué dei saggi, che alterna ai romanzi, lascia intendere lui stesso, come una disintossicazione. La raccolta di Franzen non è omogenea, ma in molti capitoli tocca il tema dominante delle ultime settimane: il clima della Terra e l’atteggiamento di chi ne fa uso come una clava. I cambiamenti climatici, svela ferocemente Franzen, «sono imponderabili (…) nessuna singola morte di uccello può venire attribuita con certezza ai cambiamenti climatici, e ancora meno a qualunque azione intrapresa o non intrapresa per influire sul clima». Per questo il tema è, al di là delle apparenze, di gran comodità: dare al colpa al clima, con tutte le variabili che comporta, è come non rendere responsabile nessuno. In più, «gli attivisti, continuano, in modo un po’ tragicomico, a cambiare le regole del gioco», ricalcolando continuamente i tempi della catastrofe. Il motivo scatenante di questi ragionamenti mette lo scrittore al di sopra di ogni sospetto di faziosità. Franzen, infatti, è un ambientalista profondo, e in più è un nevrotico del birdwatching: organizza spedizioni in giro per il mondo con lo scopo di catalogare il maggior numero di specie pennute. Ma, mentre ammette, con molta sincerità e un po’ di dispiacere, di scaricare la sua ossessione del controllo sul binocolo, quando scrive ritrova la fredda passione della disobbedienza.
DISOBBEDIENZE
La prima disobbedienza è il rifiuto della digitalità, del tweet e del post, il contrario del saggio e del pensiero: «Passiamo le giornate leggere su un schermo della roba che non ci degneremo mai di leggere su un libro stampato e a lagnarci di quanto siamo indaffarati», e ricorda quando Kierkegaard sfotteva l’uomo indaffarato: «Il darsi da fare è un modo di evitare di guardare a se stesso (…) Finché sarete impegnati con le piccole cose, non dovrete fermarvi ad affrontare le questioni più grandi». La seconda è nei confronti della scelta politica: considera Trump una sciagura resa possibile da un uso geniale dei social media, grazie ai quali, con messaggi elementari, è riuscito ad aggirare la critica istituzionale: «Un numero sufficiente di persone aveva trovato le sue buffonate e i suoi discorsi incendiari “migliori” delle sottili argomentazioni di Hillary Clinton». Non è tenero neppure con Obama, alla cui amministrazione addebita di aver attribuito il declino di alcune specie di uccelli ai cambiamenti climatici e non, come provato, alla caccia indiscriminata. L’operazione di Franzen non è distante da quella di Wallace, che negli anni Novanta trasse dalla sua stessa dipendenza dal televisore la coscienza del pericolo che non solo il cittadino, ma anche l’artista, correvano di finire incastrati nel tritacarne dell’intrattenimento. Sembra di vedere, per allora e per oggi, il salotto buono dei pensatori italiani. E tutti quelli che hanno dimenticato che «il lettore è un amico, non un avversario, non uno spettatore». E che è dovere dello scrittore essere fastidioso.